Saranno due giorni intensi tra Tunisi e Bruxelles, quelli che aspettano Giorgia Meloni. Il consiglio europeo straordinario, infatti, sarà l’ultimo prima del deposito delle liste per le elezioni europee di giugno e ormai la candidatura della premier italiana è ormai data per certa, con annuncio atteso la prossima settimana.

Il clima elettorale sta condizionando anche gli incontri istituzionali e nel corso delle ultime settimane Meloni ha iniziato a raffinare le sue linee politiche. «Stiamo cercando di smontare l’Europa», ha detto nel suo discorso al Vinitaly, riferendosi alle politiche ambientali e agricole, che hanno dato vita al movimento dei trattori di qualche mese fa ma probabilmente anche alla direttiva Case Green sull’efficientamento energetico, contro cui il suo partito ha votato. Accanto alla pars destruens, però, Meloni non intende rinunciare all’orgoglio di aver «fatto da apripista su molti dossier» – e il sottinteso è quello legato alle migrazioni – rivendicando che «tante altre nazioni hanno cominciato a seguirci».

Smontare l’Ue

L’equilibrio è delicato, tra il volto truce della donna politica che vorrebbe smontare l’Ue pezzo per pezzo e quello istituzionale della presidente del Consiglio che è andata a braccetto con Ursula von der Leyen a siglare accordi e parlare di piano Mattei per l’’Africa. Proprio questo bilanciamento sarà la sfida per Meloni in vista del vertice dei leader dell’Ue, che ha all’ordine del giorno tutte le principali questioni di politica estera – dalla guerra in Ucraina al Medio oriente – ma anche una quota di questioni più politiche, legate all’economia e alla competitività. Anche su questo Meloni deve trovare un messaggio vincente che tenga insieme i due estremi: da un lato l’indole all’autosufficienza e sovranità nazionale, dall’altro la consapevolezza che il futuro dell’Italia si sta giocando sui fondi del Pnrr. Con un’ulteriore elemento da gestire: domani verrò presentato anche il report sul mercato unico commissionato all’ex premier italiano Enrico Letta dalla Commissione europea, che ha come focus la necessità di una maggiore integrazione europea.

Lo scenario, tuttavia, rimane aperto e il condizionamento della scadenza elettorale di giugno non è indolore nemmeno per gli altri leader, a partire dalla presidente della Commissione von der Leyen, la cui situazione è sempre più debole e le sue possibilità di riconferma meno probabili.

Il piano Mattei

Anche per questo, Meloni intende di non far dipendere da Bruxelles le sue iniziative di politica estera nel bacino del Mediterraneo e legate alla questione migratoria, che tende ad acutizzarsi in estate e sarà certamente uno dei temi di campagna elettorale. Prima di atterrare a Bruxelles, infatti, la premier farà una tappa rapida in mattinata a Tunisi. A Palazzo Cartagine arriverà insieme al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, alla ministra dell’Università e la ricerca Anna Maria Bernini e al viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli. Qui incontrerà il presidente tunisino Kais Saied e i suoi ministri.
Si tratta del quarto viaggio a Tunisi per la premier da quando si è insediata a Palazzo Chigi. Sul tavolo delle discussioni ci sono i flussi migratori in partenza dal paese nordafricano (16mila gli arrivi dal 1° gennaio), che sono diminuiti del 70 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno secondo il Viminale, e la firma del Memorandum of understanding tra Bernini e il suo omologo tunisino che si inserisce nel più ampio quadro del Piano Mattei. Secondo fonti italiane sarà firmato anche un accordo sul sostegno diretto al bilancio dello stato tunisino a sostegno dell’efficienza energetica e delle energie rinnovabili e sarà creata una linea di credito a favore delle piccole e medie imprese tunisine. 

Il Mou ha lo scopo di rafforzare la partnership scientifica tra i due stati, promuovere l’interscambio culturale e letterario e migliorare l’efficienza dell’apparato amministrativo degli atenei tunisini. La premier è volata a Tunisi anche per avere rassicurazioni in vista dell’estate in cui aumenteranno le partenze dalla Tunisia.

A marzo la Commissione Ue, nonostante le critiche di diversi europarlamentari, ha autorizzato l’erogazione di 150 milioni di euro garantiti dall’accordo di partenariato con la Tunisia voluto da Meloni e firmato alla presenza di von der Leyen nel luglio del 2023. Ma i soldi non bastano. Mancano all’appello circa 900 milioni di euro, vincolati al raggiungimento di un accordo per un nuovo prestito tra il Fondo monetario internazionale e il governo tunisino.

Ma l’intesa è ancora lontana, anche perché Saied non ha intenzione di imporre al popolo tunisino le riforme austere richieste dall’istituto finanziario con sede a Washington.

L’attacco di Saied

A pagarne il conto è soprattutto la comunità subsahariana presente nel paese, duramente attaccata lo scorso anno da Saied con un discorso xenofobo che ha scatenato dei pogrom e ha portato a un aumento delle aggressioni razziste compiute dalla popolazione e dalle forze di polizia. Durante una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale tunisino avvenuta lunedì il presidente ha rincarato la dose: «La Tunisia non si piegherà alla volontà di coloro che vogliono farne un luogo di rifugio per i migranti subsahariani, né di transito, né di insediamento».

Un monito che ha il sapore di ricatto nei confronti dei governi europei, anche di quelli che hanno sollevato dubbi etici sugli accordi firmati con un paese autoritario. «Alcuni ambasciatori stranieri dovrebbero essere convocati per esortare le loro capitali a non interferire negli affari interni del paese», ha detto Saied. E ha aggiunto: «Coloro che pensano di poter imporre la propria volontà sulla Tunisia si sbagliano».

Un messaggio chiaro con cui anche Giorgia Meloni dovrà fare i conti. Alla vigilia della sua visita, infatti, è stata organizzata dal Forum tunisino per i diritti economici e sociali una manifestazione di protesta contro il suo arrivo nella capitale.

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