In Etiopia – dove oggi sta volando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni – si riapre la questione della natura dello Stato che implica le relazioni tra nazionalità. L’Amhara è in subbuglio dopo che il governo centrale di Addis Abeba ha deciso di assorbire le milizie locali all’interno dell’esercito nazionale. Proteste e disordini sono scoppiati in vari luoghi della regione con alcuni scontri a fuoco per ora ancora contenuti.

Gondar, Dessié ed altri centri minori sono stati l’epicentro di manifestazioni contro il provvedimento governativo che mira a porre fine alle forze armate regionali amhara. La costituzione creata all’epoca di Melles Zenawi prevedeva che ogni stato federato avesse la sua forza locale, sia di sicurezza che di polizia.

In alcuni casi, come in quello dei somali dell’Ogaden, ciò aveva dato luogo alla creazione di veri e propri eserciti regionali. Proprio tale situazione aveva portato allo scontro armato tra le forze tigrine e l’esercito federale, iniziato il 3 novembre 2020. La pace firmata cinque mesi fa ha per ora risolto tale questione ma ne lascia aperte diverse altre, tra cui quella oromo. Il primo ministro Abiy Ahmed ha voluto un cambiamento che facesse transitare l’Etiopia da stato federale a stato unitario.

Le conseguenze sulla guerra nel Tigray

Non tutti concordano con tale evoluzione: dopo 27 anni di etno-federalismo è difficile tornare alla fase precedente. In particolare gli amhara non si sentono al sicuro e vorrebbero mantenere operative le proprie forze armate regionali. Il paradosso è che in questa maniera vanno a scontrarsi con quel governo che è stato il loro alleato nella guerra contro il Tigray.

Alcuni osservatori e diplomatici ad Addis sostengono che sia in atto un rovesciamento delle alleanze: governo centrale alleato ai tigrini contro gli amhara sostenuti dall’Eritrea. Le proteste sono iniziate quando il governo federale ha deciso di implementare il piano che contempla lo scioglimento delle forze di sicurezza regionali degli stati federati di tutta l'Etiopia.

L’idea dell’esecutivo è che sia necessario «costruire un forte esercito centralizzato in grado di proteggere la sovranità e l'integrità territoriale del paese». Alcune unità nella regione Amhara stanno resistendo al processo di disarmo in corso, mentre il governo esorta i leader e i membri delle forze speciali regionali a lavorare per il successo del programma.

La costituzione etiopica divide il paese in stati federali in base alla lingua e all'etnia ma ora le regioni hanno il diritto di istituire soltanto forze di polizia locale per mantenere l'ordine pubblico. Tutte le altre forme di forze militare e di sicurezza devono scomparire.

Nella regione Amhara la recente guerra contro il Tigray ha dato tuttavia un forte impulso alla creazione di milizie locali, senza l’appoggio delle quali Addis probabilmente avrebbe avuto molta più difficoltà a prevalere. L’ordine di scioglimento viene percepito come una sorta di tradimento dopo tanto sangue versato.

Il destino del Wolkeit

Inoltre c’è chi teme che la regione del Wolkeit, strappata con la forza ai tigrini, rimanga senza difesa e sia prima o poi riconsegnata. Su tale area la polemica se appartenga all’Amhara o al Tigray dura da decenni. Le forze di sicurezza della regione assieme alle milizie irregolari (dette Fano) hanno svolto un ruolo importante nella guerra contro il fronte popolare di liberazione del Tigray (Tplf) che si è conclusa con l’accordo di novembre 2022, occupando tutto il Wolkeit: tornare indietro sarebbe considerato un inganno.

Ma Addis Abeba non demorde: già l'anno scorso il governo aveva lanciato un’operazione contro le milizie Fano, arrestando migliaia di suoi membri. Dopo l’esperienza fatta nella guerra contro i tigrini che ha quasi travolto il paese, Addis Abeba non desidera doversi confrontare con altre forze locali in cerca di una maggiore autonomia, se non peggio.

Il premier Abiy Ahmed, il primo oromo a guidare l'Etiopia, si è affidato all'appoggio degli amhara ma ora non si fida più. Inoltre in Oromia la guerriglia indipendentista prosegue mentre anche la chiesa ortodossa etiopica (tewaedo) subisce i contraccolpi della guerra.

Da una parte c’è stato un tentativo di scisma da parte degli ortodossi oromo, non del tutto riassorbito. Dall’altra resta aperto un dissenso tra il Santo Sinodo e i vescovi tigrini. Abiy ha affermato che la presenza di forze regionali verrà considerata una sfida alla sovranità e all'unità del paese, aggiungendo che la decisione di scioglierle è stata presa congiuntamente da tutti i leader regionali. Ma molti restano scettici: la saga etiopica ancora non è terminata. 

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