A colpi di viaggi ufficiali, vertici e missioni economiche si sta svolgendo il nuovo “scramble for Africa”, la corsa per il continente. Non si tratta solo di lotta per le risorse africane, come le materie prime minerarie e agricole, ma soprattutto di influenza politica.

Cina, Russia e Stati Uniti stanno lottando per conquistare i voti africani alle Nazioni unite e in tutti gli altri consessi internazionali. Allo stesso tempo sanno che non si può fare a meno di un continente destinato a diventare il più popoloso alla fine di questo secolo. Infine c’è la questione energetica: molto importante per la Cina, mediamente per la Russia, quasi per nulla per gli Usa, ormai autonomi. Accanto alle tre superpotenze già saldamente presenti sul continente, ci sono le potenze medie: Turchia, Corea, Arabia Saudita, Emirati, Iran, Israele, Egitto. Per costoro la questione prioritaria è solo in parte economica, ma soprattutto securitaria. Porti, basi militari e uso duale (commerciale e militare) delle infrastrutture sono le chiavi per proiettarsi sul continente, dove è indispensabile avere alleati.

Poi c’è l’India, una grande potenza in divenire che non ha ancora deciso cosa fare del continente, anche se può contare su una importante presenza di africani di origine indiana nella parte orientale del continente. Infine c’è l’Europa, storicamente radicata da un punto di vista economico, molto attiva su quello umanitario (la Ue è il maggior donatore) ma indecisa sulla politica, con la Francia in ripiegamento, mentre Germania, Italia e Spagna stanno per ora a guadare. Il cosiddetto piano Mattei italiano, per adesso è soltanto energetico e riguarda in particolare i paesi mediterranei e della regione Mena (Middle East North Africa), con i quali è in discussione anche un piano di contenimento migratorio. 

Tra Russia e Usa

Janet Yellen con il presidente dello Zambia Hakainde Hichilema (AP Photo/Salim Dawood)

Le visite ufficiali si sono moltiplicate tra la fine del 2022 e l’inizio del nuovo anno: per la Cina in Etiopia, Gabon, Angola, Benin. Il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha moltiplicato le missioni: Sudafrica (con cui la Russia ha organizzato manovre navali congiunte), Angola, Eritrea, Congo-Brazzaville, Uganda e Etiopia (sede dell’Unione africana), Mali e Mauritania. Deve ancora recarsi in Tunisia, Algeria e Marocco.

Dal canto loro gli Usa hanno inviato la segretaria al Tesoro Janet Yellen in Senegal, Zambia e Sud Africa ma soprattutto Washington ha organizzato il suo vertice in dicembre, con una folta presenza di capi di Stato attorno a Joe Biden. Nell’appuntamento panafricano in Senegal di gennaio, il summit sulla sovranità alimentare e la resilienza, la novità è stata che si è molto celebrato l’appuntamento americano e i discorsi di Biden, senza mai citare Cina e Russia, quest’ultima velatamente criticata per gli effetti della guerra sui prezzi dei beni di prima necessità.

Erano presenti 14 capi di Stato africani, non tutti filo-occidentali ma certamente tutti preoccupati per la tenuta dei loro paesi di fronte alla crisi alimentare. La nuova fase geopolitica inaugurata dal conflitto in Ucraina mette l’Africa al centro di una complessa rete di relazioni: nessuno vuole perdere il sostegno del continente che ha più voti nei fori internazionali e appare sempre più indipendente nelle sue decisioni.

Il ruolo europeo

A Dakar non c’erano delegazioni cinesi e russe, e molto si è detto sullo sviluppo dell’agricoltura, un terreno su cui gli europei sono in vantaggio se decidono di importare più prodotti africani ma soprattutto di esportare know how e tecnologia allo scopo di permettere all’Africa di trasformare le proprie materie prime agricole: sarebbe un grosso passo avanti che permetterebbe all’Africa di esportare globalmente.

Non basta al continente essere il detentore del 65 per cento delle terre coltivabili globali o produttore di materie prime: occorre diventare un protagonista sul terreno dei prodotti finiti ad alto valore aggiunto. Gli europei potrebbero aiutare a compiere il salto della meccanizzazione e della creazione di un intero settore industriale di agro-business. Attualmente l’Africa importa per 75 miliardi di dollari all’anno di prodotti alimentari che potrebbe facilmente trasformare a casa propria. La preoccupazione dei leader africani è dovuta ai processi in corso: le campagne si svuotano a gran velocità e le grandi città divengono poli di attrazione per una gran massa di giovani in cerca di futuro.

Senza elettrificazione e meccanizzazione delle zone rurali, l’abbandono della terra è sicuro. In tale quadro il fattore guerra in ucraina fa da acceleratore: senza sicurezza alimentare anche la stabilità viene messa a repentaglio. È questo l’elemento di più grave preoccupazione delle leadership africane oggi. 

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