L’incontro dedicato alla scuola dell’ultimo Meeting di Rimini con la partecipazione del ministro riprende molti dei refrain che dagli anni ottanta in poi sono risuonati nel dibattito pubblico, intonando sempre più gravemente il pensiero della destra in Italia. Cosa si nasconde dietro alla retorica degli individui e dei talenti
Non si esce vivi dagli anni ottanta. Il neoliberismo all’italiana nasce tra agosto e ottobre del 1980. Alice canta Il vento caldo dell’estate, e la prima apparizione del meeting di Rimini è salutata come una “via anglosassone alla Dc” (leggi thatcheriana). Scuole libere (leggi antistatali), sussidiarietà nella sanità (leggi privatizzazione). Oggi i postfascisti che si sono spacciati da destra sociale – in Italia non è mai esistita – vanno a occupare i posti di Formigoni e Andreotti, prendono applausi spellati da chi odia la socialdemocrazia come ragione di vita.
La critica allo stato dei movimenti del 1977 a destra è adulterata in una paternalistica distruzione del welfare. Nel 1978 Vincenzo Muccioli fonda la Comunità di San Patrignano. A ottobre 1980 si scopre che i tossicodipendenti in cura vengono incatenati dentro delle gabbie per cani. Qualche giorno fa la presidente del parlamento europeo Roberta Metsola è andata in pellegrinaggio a San Patrignano e ha dichiarato: «Qui c’è un modello di welfare per l'Europa». Il 14 ottobre 1980 arriva la marcia dei quarantamila. Nel frattempo in televisione dilaga Pippo Baudo.
Il nostro tempo sembra si sia fermato lì. Anche l’incontro dedicato alla scuola dell’ultimo Meeting di Rimini riprende molti dei refrain che dagli anni ottanta in poi sono risuonati nel dibattito pubblico, intonando sempre più gravemente il pensiero della destra in Italia. Sono i tre decenni che il filosofo francese Jacques Rancière definisce “gli ingloriosi trenta”, contrapponendoli ai trenta keynesiani del dopoguerra.
“Talenti” e “persona”
L’appuntamento di fine agosto di Comunione e Liberazione è da allora l’annuncio dell’anno politico che verrà, anche per la scuola. L’estate scorsa la tavola rotonda era sulle competenze non cognitive e trasversali, un concetto tanto fumoso quando plastico per ottenere consensi questi sì trasversali. A convergere con le posizioni di Cl e del ministro (essenzialmente più legame tra mondo della scuola e mondo del lavoro) presenziava tutto l’arco parlamentare: Paita (Iv), Malpezzi (Pd), Patuanelli (M5s), Filini (Fdi), Romeo (Lega).
Di lì a qualche mese è stata approvata anche una legge che ha introdotto una sperimentazione sulle competenze non cognitive, venendo incontro a un’istanza almeno decennale portata avanti da politici sia di destra che di sinistra, sotto una cornice ideologica che spesso si è rifatta a Giorgio Vittadini, organizzatore storico dell’incontro riminese.
È proprio Vittadini insieme a Giuseppe Bertagna a essere riconoscibile sempre di più come intellettuale di riferimento della destra scolastica al governo. Quest’anno l’incontro con il ministro dell’istruzione e del merito prevedeva un Q&A con vari rappresentanti del mondo della scuola. Anche qui si è respirata molta concordia, e Giuseppe Valditara ha voluto ricordare subito il suo posizionamento ideologico: «Noi dobbiamo porci una domanda: a cosa serve la scuola? E la scuola serve a valorizzare i talenti di ogni giovane, a mettere al centro la sua persona». Talenti e persona sono una coppia di concetti fondamentali e quasi inscindibili se vogliamo comprendere il progetto politico dell’attuale destra che non si distingue molto dalle forze che sono state al governo negli ultimi trent’anni, anche quelle sulla carta avversarie.
La scuola neoliberista
La mutazione pluridecennale dalla scuola democratica a quella neoliberista la racconta molto bene l’ultimo libro di Mario Pomini, La scuola tradita, appena uscito per Mimesis. Ciellini come Vittadini e personalisti cattolici come Bertagna hanno dichiarato già negli anni ottanta e ripetuto allo sfinimento un programma ben preciso, che oggi si articola nelle novità annunciate con cadenza quotidiana: «La scuola non era più il luogo della costruzione di un’identità nazionale e civica, ormai acquisita, ma quello di un percorso inteso a valorizzare i talenti individuali, le potenzialità di ciascuno. Si trattava di una specie di silenziosa rivoluzione copernicana, passando chiaramente da istanze collettive a istanze individualistiche. La scuola dei talenti si veniva a sostituire alla scuola democratica. Poiché i cosiddetti talenti individuali sono inestricabilmente connessi alla condizione sociale di partenza, era inevitabile che nella nuova impostazione la scolarità da opportunità di ascesa sociale tornasse a essere uno strumento di selezione sociale. Nella retorica dei talenti ognuno deve stare al suo posto nella gerarchia sociale, preferibilmente quello occupato dai genitori. La scuola non più come opportunità sociale, ma invece come luogo di una stratificazione sociale conservatrice che si perpetua».
Il discorso ormai invalso sulla differenza delle intelligenze e sulla corrispondente canalizzazione è diventato un viatico per legittimare altre differenze educative, culturali, sociali, senza riconoscere più il loro carattere di disuguaglianze. Di fronte a questo orizzonte molto grigio, con l’approssimarsi del ritorno in classe, si può provare a familiarizzare con una piccola ma vera rivoluzione copernicana nell’educazione, quella che racconta Jacques Rancière nel Maestro ignorante (Meltemi), la storia del maestro Joseph Jacotot, rivoluzionario francese esule in Belgio, che promosse un’istanza filosofica ancora inaudita: l’eguaglianza delle intelligenze. Quando la reazione è spacciata per buon senso, è bene allora trovare sensi nuovi.
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