Sette giorni, almeno quattordici morti sul lavoro tra gli operai. È il bilancio (parziale) della settimana appena trascorsa. Sono numeri che fanno riflettere ancora di più data la ricorrenza: domenica è stata la Giornata nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro, istituita nel 1998 (ma si celebrava già da prima) su richiesta dell’Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro (Anmil). 

«Morire in fabbrica, nei campi, in qualsiasi luogo di lavoro è uno scandalo inaccettabile per un paese civile, un fardello insopportabile per le nostre coscienze, soprattutto quando dietro agli incidenti si scopre la mancata o la non corretta applicazione di norme e procedure» ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della ricorrenza. Ma questa è solo l’ennesima volta nelle ultime settimane che il presidente parla di sicurezza sul lavoro.

Da dopo la strage di Brandizzo, Mattarella ha manifestato chiaramente al nuovo governo che sul tema tiene la guardia alta e che è necessario intervenire: «I morti di queste settimane ci dicono che quello che stiamo facendo non è abbastanza», ha scritto in una lettera indirizzata alla ministra del Lavoro, Marina Elvira Calderone.

La ministra ha promesso più ispezioni, ma proprio il protocollo firmato a marzo dal nuovo capo dell’ispettorato del lavoro (Inl) con il Consiglio nazionale dell’ordine dei consulenti del lavoro – presieduto dal marito della ministra – porta nella direzione opposta. E gli 800 nuovi ispettori assunti all’Inl, che la ministra ha ribadito anche domenica, per aumentare la «rete di controlli», erano già stati previsti da una delibera del precedente governo.

Che non siano sufficienti gli interventi è d’accordo anche il presidente nazionale Anmil, Zoello Forni, che all’evento di domenica nella sala della protomoteca in Campidoglio ha detto: «Continuiamo a contare tre morti al giorno e 2mila infortuni come nel 2008», anno in cui è stato emanato il testo unico sulla sicurezza dei lavoratori. «Nonostante la recrudescenza del fenomeno infortunistico che pesa sul paese, è un fatto che oggi la sicurezza nei luoghi di lavoro non riceva la giusta considerazione», ha concluso Forni.

I Dati

Mercoledì l’Inail ha presentato la relazione annuale per il 2022 su infortuni e malattie professionali. Dal report è emerso che l’anno scorso le denunce di infortunio con esito mortale sono state 1.208. Cento morti al mese.

Se il numero da solo non dovesse bastare a inquadrare la grandezza del fenomeno, basti pensare che Geoverdose ha calcolato che i decessi per droga e alcol nel 2022 in Italia sono stati 136, aggiungendo anche i decessi sospetti (31) si arriva a un massimo di 167. Ben lontano dal dato Inail, che per di più è parziale, perché l’ente considera solo i suoi assicurati.

Gli  infortuni sul lavoro in totale denunciati all’ente sono stati 703.432, circa 139mila in più rispetto agli oltre 564mila del 2021 (+24,6 per cento). Questo aumento è dovuto sia ai contagi professionali da Covid-19 sia agli infortuni “tradizionali”, per i quali si è registrato un incremento di oltre il 13 per cento rispetto al 2021. Come si è registrato un incremento anche delle denunce di malattia professionale: +9,9 per cento rispetto al 2021.

E se i dati preannunciati per il 2023 attestano un calo, -20,9 per cento di denunce di infortunio rispetto ad agosto 2022, l’Inail precisa che ciò «è dovuto quasi esclusivamente al notevole minor peso dei casi di contagio da Covid-19». E che i numeri potrebbero rivelarsi «poco attendibili rispetto al trend che si delineerà nei prossimi mesi, anche per tener conto di eventuali ritardi nelle denunce».

Ci sono poi i morti di lavoro che non fanno tanto rumore, ma non pesano certo di meno, come i 7mila morti in un anno per amianto che ha ricordato sabato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto (Ona). «Nel settore dei cantieri navali si registra il maggior numero di casi di mesotelioma, e sono molti di più di quelli registrati dall’Inail (1.138), che arrivano solo fino al 2018» ha detto Bonanni.

Perché così tanti morti?

Per combattere un fenomeno del genere servono leggi, controlli e un adeguato apparato sanzionatorio per chi evade le norme. Dal punto di vista normativo il Testo unico sulla sicurezza (decreto lgs. 81/2008) e le sue successive modifiche hanno inserito dei tasselli importanti per disciplinare la sicurezza dei lavoratori operanti nelle imprese e garantirne i diritti, ma la legge viene vanificata se mancano i decreti attuativi come nel caso del settore ferroviario dove il Testo unico non si applica perché non sono stati emanati i decreti che armonizzano le sue norme con quelle previgenti in materia.

O ancora se la norma non è applicata nella sua interezza. Alessandro Genovesi di Fillea Cgil riporta che per un terzo dei lavoratori nei cantieri edili non si applica il contratto edile che garantisce maggiori tutele e più ore di formazione di sicurezza a questi lavoratori, notoriamente più a rischio. «Edilizia e cave è il primo settore infatti per infortuni mortali», dice Genovesi.

Ispezioni

Per contrastare chi evade le norme l’unico rimedio sono i controlli. Nello scorso governo, il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, si era impegnato sulla sicurezza e col decreto ministeriale 146/2021 aveva inserito la misura del Durc Congruità, con il quale sono previsti dei parametri minimi di manodopera utilizzata da osservare nei cantieri edili. Questo ha permesso di fare emergere il sommerso e di compiere passi avanti nella regolarizzazione dei rapporti di lavoro. Il lavoro nero è sempre lavoro insicuro.

Non solo, Orlando aveva messo a capo dell’Inl il magistrato presso la corte di Cassazione, Bruno Giordano, che aveva cominciato un lavoro importante sui controlli.

Sotto la sua gestione il numero dei dipendenti sia tecnici che amministrativi è aumentato, in particolare da 200 ispettori tecnici si è passati a oltre 1400. Anche i nuovi 800 adesso in formazione sono opera della scorsa gestione. Giordano è stato sostituito, solo due mesi dopo essersi insediato il nuovo governo, da Paolo Pennesi e come riportato a Domani non ha avuto il tempo di concludere l’imponente lavoro di «coordinamento degli organi di vigilanza».

Ufficialmente a controllare infatti ci sono «oltre dieci diversi organi, tra questi: ispettori dell’Inl, dell’Inail, dell’Inps, delle Asl, ispettori minerari, delle forze dell’ordine e le capitanerie di porto e questo crea una dispersione delle risorse» sostiene Giordano. 

Il cambio di vertice dell’Inl non ha giovato alla lotta per le ispezioni, in merito alla sostituzione, l’ex ministro Orlando ha riportato che sarebbe stato più utile «dare continuità alle politiche».

Procura nazionale del lavoro

Secondo il magistrato comunque non basta la prevenzione, serve una «concentrazione delle attività investigative», in pratica è necessario costituire «una procura nazionale e distrettuale del lavoro». Questa procura permetterebbe di avere «pubblici ministeri specializzati e competenti sotto il profilo tecnico, particolarmente importante per le istruttorie che riguardano gli infortuni sul lavoro –  dice Giordano – e di concentrare le linee interpretative delle norme in materia, utile anche ai datori di lavoro, e di avere indagini più celeri per evitare la prescrizione». 

L’idea piace anche al sindacato, tanto che pure Genovesi auspica la «creazione di una procura ad hoc». La Commissione “Morti bianche” presso il Senato nel 2013 aveva audito i magistrati di Torino, Giancarlo Caselli e Raffaele Guariniello, che difendevano le ragioni di una sua istituzione. Dopo un ampio dibattito, la Commissione aveva deciso di non dare alcuna indicazione. Ancora oggi l’attuale parlamento non ha affrontato il tema. 

Subappalti

Secondo le stime di Genovesi, «il 70 per cento degli infortuni mortali accade nei subappalti di primo e secondo livello nell’edilizia privata». L’ex ministro Orlando sul tema è stato puntuale: «Bisogna battersi contro tutto ciò che spezzetta e opacizza il lavoro». «Gli incidenti sono più frequenti nelle aziende di piccole dimensioni, dove c’è nero o grigio e dove c’è subappalto – dice l’ex ministro – tutte le misure che allentano la pressione su questi fronti possono essere raccontate come semplificazione ma vanno lette come insicurezza».

Eppure, col nuovo codice degli appalti il governo Meloni ha deciso di rischiare proprio sulla sicurezza, eliminando il divieto di ulteriore subappalto e regolarizzando quindi il “subappalto a cascata” (subappalto di subappalto).

Il subappalto rende il mercato più fluido e riduce i costi perché le imprese specializzate svolgono il lavoro con maggiore efficienza e in minor tempo, quindi a un costo inferiore rispetto a quello che sosterrebbe l’impresa principale.

Ma senza gli adeguati controlli presenta dei rischi che è necessario pesare più dei benefici economici. Dall’esperienza si evince infatti che, oltre alla minore trasparenza che facilita l’infiltrazione criminale, il subappalto porta con sé il rischio di riduzione della formazione degli operai sulla sicurezza nel cantiere e l’insufficiente rispetto delle normative di prevenzione degli infortuni sul lavoro. 

La sicurezza non è un costo

La sicurezza non può essere considerata un costo da scontare a fronte di un vantaggio economico, anzi, come ricorda il senatore Tino Magni, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, «la sicurezza è un investimento»

Nell’era più tecnologica che l’umanità abbia mai conosciuto, Magni si chiede come mai la tecnologia non venga utilizzata per implementare la sicurezza. «La tecnologia non deve solo rendere il lavoro più veloce ma anche più sicuro» dice il senatore.

Intanto, dopo la strage di Brandizzo la Commissione ha iniziato una serie di audizioni: martedì 3 ottobre è stato il turno di Paolo Pennesi, al vertice dell’Inl, e mercoledì 11 toccherà al presidente dell’Anmil, Zoello Forni.

I dati parlano chiaro e i margini di intervento sono numerosi. La questione è se il governo saprà tradurre in atti concreti il monito del presidente Mattarella.

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