Qual è il legame tra fondazioni lirico-sinfoniche e Rai? Prima degli ultimi giorni si sarebbe detto che non c’è alcun legame. Ma il legislatore, cioè la politica, ha molta fantasia. La fantasia che serve per spostare pedine su una scacchiera dove ogni casella corrisponde a incarichi di rilievo, e quelle che si liberano sono pronte per essere riempite, in una partita che lega ambiti diversi.

Il riferimento è a Carlo Fuortes, amministratore delegato della Rai dal 2021, il cui mandato sarebbe scaduto nel 2024. E a Stéphane Lissner, sovrintendente e direttore del teatro San Carlo di Napoli dal 2019, la cui carica si sarebbe protratta fino al 2025, se il governo con un decreto legge (n. 51/2023) non avesse fissato per tale carica il limite dei 70 anni. Proprio l’età di Lissner, che in questo modo viene messo fuori gioco.

La partita sembrava così congegnata: come prima mossa, rimuovere il sovrintendente, per liberarne la poltrona. Come seconda mossa, indurre Fuortes a dimettersi per andare a occupare l’incarico rimasto vacante presso il teatro di Napoli, “risarcendolo” per la cessazione anticipata del mandato di Ad della Rai.

L’ultima mossa, la più scontata: mettere a capo dell’emittente televisiva, al posto di Fuortes, persona gradita all’attuale maggioranza di governo. Poi, l’8 maggio scorso, Fuortes si è dimesso con una dura lettera che denuncia, tra l’altro, lo «scontro politico» sulla carica da lui ricoperta e sulla sua persona.

I partiti e la Rai

Fuori i partiti dalla Rai, aveva detto Matteo Renzi nel 2014, come molti suoi predecessori. Di fatto, i partiti non se ne sono mai andati. Nel 1974 la Corte costituzionale aveva indicato alcune regole per assicurare il pluralismo nella Rai: tra le altre, quella per cui gli organi direttivi non siano «costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo e che la loro struttura sia tale da garantirne l’obiettività» (sent. n. 225). L’indicazione è stata disattesa, come dimostrano le norme (l. n. 220/2015).

Dei sette componenti del consiglio di amministrazione, due sono eletti dalla Camera, due dal Senato, due sono designati dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’economia e delle finanze (Mef) e uno dall’assemblea dei dipendenti Rai. I componenti del consiglio possono essere rimossi attraverso una delibera dell’assemblea dei soci, approvata dalla commissione di vigilanza Rai.

Siccome il governo, tramite il Mef, possiede quasi il 100 per cento delle azioni della Rai, l’assemblea rappresenta sostanzialmente la posizione dell’esecutivo. L’amministratore delegato, nominato dal consiglio di amministrazione su proposta dell’assemblea, ha poteri rilevanti: tra le altre cose, «sovrintende all’organizzazione e al funzionamento dell’azienda nel quadro dei piani e delle direttive definiti dal consiglio di amministrazione»; nomina i dirigenti di primo livello, inclusi i direttori di rete, di canale e di testata, previo parere del consiglio di amministrazione; firma autonomamente contratti fino a 10 milioni.

Qual è la differenza fra quanto accade in questi giorni e quanto fatto dai governi precedenti? Apparentemente nessuna. Ogni nuova maggioranza di governo ha cercato di avere una dirigenza che fosse espressione della propria linea e dei propri equilibri politici. Ma il governo attuale è andato oltre: anziché attendere la scadenza naturale dell’incarico dell’Ad, è intervenuto prima, preparando lo spostamento di pedine di cui si è detto. Ma la norma su cui tale spostamento presenta problemi in punto di diritto.

La nuova norma

Il recente decreto sulle fondazioni lirico-sinfoniche prevede il divieto di ricevere incarichi per chi abbia compiuto 70 anni. Il sovrintendente in tali enti cessa dalla carica al 70° anno di età. I sovrintendenti attualmente in carica, che abbiano compiuto 70 anni alla data di entrata in vigore del decreto, cessano anticipatamente dalla carica a decorrere dal 1° giugno 2023, indipendentemente dalla scadenza degli eventuali contratti in corso. Dunque, entro quest’ultima data, Stéphane Lissner dovrà lasciare il San Carlo.

La motivazione della nuova disciplina si rinviene nel comunicato del ministero della Cultura (Mic): «una generale esigenza di riordino di una materia segnata da evidenti incongruenze nella determinazione dell’età della pensione per i sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche».

Tali incongruenze sono «tra chi era già dipendente degli enti lirici, che poteva restare in carica, anche se pensionato, fino a 70 anni, e gli altri pensionati, ai quali invece si applicava il generale divieto di conferimento di incarichi nelle pubbliche amministrazioni. Per coloro, invece, che ricevono una pensione all’estero o comunque non percepiscono alcun trattamento pensionistico in Italia non si applicava alcun limite di età». Insomma, la giustificazione sarebbe quella di eliminare un trattamento di “favore” per dipendenti di enti lirici e sovrintendenti stranieri.

Le cose non stanno proprio in questo modo. La possibilità per i dipendenti degli enti lirici di ricevere incarichi fino a 70 anni, in deroga a quanto previsto dalla normativa – la cosiddetta legge Madia – che vieta di attribuirli a chi è in pensione (di norma 65 anni per i dipendenti pubblici), non era un privilegio, bensì una misura inserita nell’ambito di una serie di sostegni finanziari a tali enti.

Né rappresentava una discriminazione verso gli italiani – come si afferma nel comunicato del Mic – la possibilità di attribuire di incarichi senza limiti di età a chi percepisce la pensione da un altro paese: in questo caso, la quiescenza è regolata da norme diverse da quelle nazionali, e soprattutto è pagata da un altro stato.

I dubbi

La norma in questione solleva diversi dubbi in diritto: innanzitutto, l’urgenza che dovrebbe legittimare l’adozione di un decreto legge sugli incarichi negli enti lirici appare quanto meno sospetta, e sembra confermare l’ipotizzato gioco di pedine. In secondo luogo, essa ha carattere retroattivo, cioè si applica anche a coloro il cui incarico sia ancora in corso, e ciò è giuridicamente controverso.

E non è tutto: nonostante gli enti lirico-sinfonici siano stati privatizzati, la Corte costituzionale ne ha ribadito la qualificazione in senso pubblicistico (sent. 153/2011). Da ciò discende che l’attribuzione di un incarico presso tali enti necessiti di una procedura a evidenza pubblica, volta a raccogliere manifestazioni di interesse da parte degli aspiranti a tale incarico, i cui curriculum sono da valutare comparativamente.

Si tratta di un passaggio che, nello spostamento di pedine, il governo sembra non considerare. Insomma, la posizione di sovrintendente dev’essere contendibile e la sua nomina non può essere una discrezionale scelta di natura “politica”, quindi basata su criteri incompatibili con i princìpi di buona amministrazione, imparzialità e trasparenza.

Peraltro, nella scelta di tale figura sono coinvolti anche la regione Campania e il comune di Napoli, che con il Mic partecipano alla fondazione che controlla il teatro. Infine, una norma che, al di là delle caratteristiche di generalità e astrattezza, sembra destinata specificamente a un soggetto, il sovrintendente Lissner – configurandosi come norma ad personam, anzi contra personam – rischia di essere oggetto di censure di legittimità.

Fuortes si è dimesso, come detto. Che questa sia solo una mossa sullo scacchiere ove le pedine si spostano, o sono spostate, per fare spazio ad altre, oppure la definitiva uscita di scena di chi ha compreso troppo tardi i meccanismi politici che ostacolano un’effettiva indipendenza, lo si capirà presto. La prossima mossa spetta a Lissner, che ha annunciato un’azione legale.

Sarà interessante seguire la partita, che tuttavia ha già un perdente: il governo. Perché, se è vero che la lottizzazione c’è sempre stata, attuarla attraverso norme controverse e mosse spregiudicate non è un buon biglietto da visita per l’esecutivo. E non solo dentro i confini nazionali.

© Riproduzione riservata