Le posizioni no-triv dilaniano ancora di più il centrodestra, riprendendo lo scontro iniziato, sotto traccia, già nella scorsa legislatura, quando all’ordine del giorno c’era il primo decreto Aiuti. In quelle settimane fu tentato il blitz per facilitare le perforazioni in mare. Il progetto naufragò per la mancanza di numeri, legati alla variegata composizione della maggioranza che sosteneva il governo Draghi, ma anche per un dissenso nelle forze di centrodestra, in particolare Lega e Forza Italia.

Tensione leghista

Così, nelle prossime settimane, la tensione è destinata a salire ulteriormente, nelle file leghiste, portando in parlamento il braccio di ferro in atto sul piano della leadership nazionale, tra il segretario federale, Matteo Salvini, e il presidente della regione Veneto, Luca Zaia.

Con conseguenze territoriali tra lombardi e friulani da un lato e veneti dall’altra. Un sentore di come proprio i leghisti veneti non abbiano gradito l’assenza di rappresentanti nella squadra ministeriale, che nella Lega è tutta a trazione lombarda. Il governatore si è dunque fatto portavoce degli interessi del territorio, tirando in ballo una questione che sta molto a cuore al suo elettorato: l’impatto sul Pil regionale.

L’oggetto della contesa è l’articolo, inserito nel decreto Aiuti quater, che consente di potenziare la ricerca di idrocarburi in mare attraverso le trivellazioni. Sul tema è appunto arrivata la perentoria presa di posizione di Zaia, che ha confermato la propria contrarietà: «Nel referendum del 2016, io avevo sostenuto il no alle trivelle, come quasi l’86 per cento dei veneti e degli italiani», ha detto in una recente intervista al Corriere della Sera, ribadendo la personale coerenza sulla materia, a differenza di altri che invece hanno modificato opinione. Il motivo? La sua regione ha già dato, in termini di subsidenza, il fenomeno dello sprofondamento dei terreni e dei fondali marini, favorita dalle trivellazioni portate avanti negli anni Cinquanta.

Vecchi problemi

Ma la vicenda non è nuova, anzi. Domani ha rinvenuto l’origine dell’articolo inserito nell’articolo del governo Meloni, che ripercorre in maniera pedissequa un emendamento, presentato al primo decreto Aiuti varato nel maggio 2022, dall’esecutivo presieduto da Draghi.

La proposta emendativa fu presentata in quell’occasione Forza Italia, con la prima firma di Claudia Porchietto, in qualità di vice capogruppo alla Camera, ma fu fortemente voluta dal suo collega di partito Luca Squeri, deputato rieletto anche in questa legislatura. La sponsorizzazione a livello governativo era di Vannia Gava, sottosegretaria alla Transizione ecologica, che oggi occupa la stessa casella da viceministra dell’Ambiente e della sicurezza energetica, secondo la nuova denominazione. L’emendamento al decreto Aiut proponeva di applicare le disposizioni per la facilitazione delle trivellazioni «alle concessioni di coltivazione di idrocarburi poste nel tratto di mare compreso tra il 45esimo parallelo e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del fiume Po, a una distanza dalle linee di costa superiore a nove miglia e aventi un potenziale minerario di gas per un quantitativo di riserva certa superiore ad una soglia di 150 milioni di metri cubi». Quello che è stato previsto dal decreto Aiuti quater licenziato dal consiglio dei ministri. Un progetto che era già nelle idee di parte del centrodestra, che tuttavia non si infranse sulla netta contrarietà del deputato leghista, l’ex sindaco di Padova Massimo Bitonci, ora diventato sottosegretario al ministero delle Imprese e del made in Italy. In quel frangente avviò un braccio di ferro con la collega di partito, la friulana di Sacile Gava.

La manina di Squeri

mauro scrobogna

Negli uffici di Montecitorio ci fu un confronto molto acceso con la richiesta esplicita di Bitonci di non far passare quell’emendamento, puntando l'indice anche contro Squeri. E ancora oggi la sua posizione non certamente è favorevole all’ampliamento delle trivellazioni nell’Adriatico. «Ogni scelta su materie tanto delicate deve essere condivisa con i territori e deve tenere conto della delicatezza del litorale veneto e veneziano», ha affermato. Devono decidere i veneti, che di fatto hanno la stessa idea di Zaia sulla vicenda. Solo che, a distanza di qualche mese, si è riproposto a distanza lo stesso scontro con Gava, per cui è necessario diversificare gli approvvigionamenti e giudica «assurdo vietare per motivi ideologici di estrarre il nostro gas», proponendo come modello quello della Croazia che invece trivella il mare alla ricerca di idrocarburi.
Il problema, tuttavia, non riguarda solo la Lega. Anche all’interno di Forza Italia la vicenda dell’emendamento provocò forti tensioni. Squeri lo presentò senza un confronto con gli altri esponenti del partito, assecondando la spinta dei big del settore energetico, creando un problema politico. In molti fecero notare a Squeri che la portata di quell’iniziativa necessitava un confronto ampio e non un blitz parlamentare. E così arrivò lo stop a opera di Bitonci, per conto di Zaia. Lasciando però nodi irrisolti.

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