Va così: ogni giorno dall’autoproclamato Terzo Polo arriva il fuoco sul quartiere generale Pd. Ma dal quartiere generale la consegna è di non reagire. Solo una volta, erano i primi di agosto, a un attacco sanguinoso di Matteo Renzi (una variazione un po’ troppo pulp sul tema del rancore lettiano) dal Nazareno è partita una replica. Seccatissima: «Ha tentato di affondare il partito lasciando macerie, lacerazioni e un 18 per cento da guinness dei primati negativi».

Ma da lì ad oggi, un mese di silenzio: il motto è quello dantesco, non ti curàr di lór ma guarda e passa. Tradotto in marketing politico: non rispondete, non fategli pubblicità, è tollerata qualche ironia su Carlo Calenda (ieri Peppe Provenzano alla Stampa: «Il leader di Azione dedica al Pd un tweet al giorno, che dico, all’ora»). Ma il nome di Renzi non s’ha da fare.

Letta fantasmizzato

È, viene spiegato, una scelta comunicativa. Giurano che funziona: come le card rosse e nere con il claim «scegli», criticate dagli avversari ma ormai virali sulla rete con tanto di parodie, come all’epoca dei manifesti sei per tre di Silvio Berlusconi.

Nella war room del Nazareno questo “silenzio” viene chiamato più o meno scherzosamente «ghosting». Una parola che la Treccani ha inserito nel 2015 fra i neologismi e che l’Accademia della Crusca definisce: «Comportamento di chi decide di interrompere bruscamente e senza spiegazioni una relazione (per lo più sentimentale, ma anche di amicizia o lavorativa) e di scomparire dalla vita della persona con cui si intratteneva tale relazione, rendendosi irreperibile».

Per capire come funziona concretamente però basta parlare con un quindicenne mediamente connesso: se si ha a che vedere con una persona molesta, in genere un ex fidanzato o fidanzata, ci si rende «fantasmi», si scompare completamente: non si risponde ai messaggi, si sparisce. Una vendetta tremenda ed efficace, in genere l’effetto è che l’abbandonato schiuma di rabbia.

Così Renzi prova a lanciare l’amo a Letta, ma l’altro non abbocca, esibisce indifferenza. E quando nelle interviste gli arriva l’immancabile domanda sui rapporti con l’ex segretario, quello che lo ha defenestrato da palazzo Chigi nel 2014, la risposta è standard: «Per me è una pagina chiusa».

Lo schema si ripete ogni giorno. Prendiamo ieri. Il leader di Italia viva attacca dal Quotidiano Nazionale: «Letta ha sbagliato tutto (...) la strategia del nuovo segretario porterà il Pd a una disfatta».

Segue elenco: «Ha proposto di aumentare le tasse, vuole abbracciare l’agenda Draghi ma si è alleato con chi ha sempre votato contro Draghi, ha regalato un seggio a Di Maio dopo tutto quello che Di Maio aveva detto del Pd ma ha rotto coi centristi, si è alleato con chi vuole abolire la proprietà privata, cominciando dagli aerei. Letta non è cattivo: semplicemente non credo che la politica sia il suo forte».

Poi il veleno nella coda: «I principali dirigenti del Pd più che alle elezioni stanno pensando al congresso del giorno dopo: tutti lo dicono in privato, nessuno lo confessa in pubblico». Più tardi, in serata, a Metropolis sul sito di Repubblica: «Il Pd ha sbagliato totalmente l’impostazione della campagna. Poteva fare un’operazione di chiamata alle armi contro Meloni e quindi chiamare anche i grillini. Oppure con noi ma non ha voluto farla per rancore verso di noi. Oppure una corsa solitaria, veltroniana».

Boomerang terzopolisti

I renziani danno dell’«ossessionato da Renzi» a Letta, ma basta fare una sommaria ricerca sulle rassegne stampa, e di giornate come ieri se ne trovano mille. La media è di due-tre missili al dì. Dal 16 al 31 agosto sull’agenzia Ansa si contano 17 dichiarazioni ostili.

In alcune giornate il fiorentino è particolarmente ispirato. Per esempio, il 29 agosto: «Tutto il gruppo dirigente del Pd sta dicendo stai sereno a Enrico» (Retequattro). «Un orologio rotto segna l’ora esatta almeno due volte al giorno, Enrico neanche quello» (un comizio a Milano). «Inizio a preoccuparmi delle influenze sovietiche sul nuovo Pd» (sull’Enews). Altri giorni ha spiegato che «la guida di Letta è caratterizzata più dal rancore personale che dalla volontà di vincere», che «è rimasto fermo al 2014», che «l’unica cosa che ha fatto è aumentare l’Iva».

Al Pd sono tutti convinti che l’attacco continuo fa male, ma a chi lo fa: se un sondaggio dice che il Terzo polo non sfonda, Calenda se la prende con il sondaggista (è successo a Nando Pagnoncelli e a Lorenzo Pregliasco) che però a sua volta raccoglie la solidarietà generale.

Se passa ai raggi X le liste Pd, poi esce fuori che Azione ha raccattato i respinti del vituperato presidente della Puglia Michele Emiliano (vedasi Massimo Cassano, direttore dell’Agenzia regionale per il lavoro) e persino una putiniana, tal Stefania Modestina, capolista al Senato a Caserta.

Se per sventare un faccia a faccia fra i due principali leader in gara Meloni e Letta viene chiamata in causa l’Agcom, l’Agcom ammette che la programmazione di un unico confronto tv tra due soggetti politici viola la par condicio, ma di fatto boccia la richiesta di Renzi di un confronto «a quattro» (cioè con anche Calenda e Conte) per il semplice fatto che andrebbero convocati anche tutti gli altri leader in corsa, e cioè Luigi De Magistris e Gianluigi Paragone.

E alla fine un confronto a due ci sarà: Meloni e Letta si sfideranno il 12 settembre sul sito del Corriere della sera. E dal Pd assicurano che non potrebbe non essere l’unico evento.

Il team di Letta aggiorna il «rancorometro» più volte al dì, ma è solo uno scherzo perché, è la convinzione, ogni bordata diventa un boomerang. Molto meglio dunque lasciare cuocere i terzopolisti nel loro brodo. Il 26 settembre si sapranno i voti veri. Intanto però ieri è arrivato un altro sondaggio Ipsos sullo smartphone di Letta: dà il Pd al 24,4 per cento e Calenda-Renzi al 4,3. Il Terzo Polo sarebbe il Quarto, sopra di appena un’incollatura ai vituperati rossoverdi.

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