Mai come questa volta l’Europa è entrata nel dibattito elettorale italiano. Del resto, Bruxelles guarda con apprensione i risultati elettorali italiani del prossimo 25 settembre, che segneranno la fine dell’èra Draghi tanto apprezzata dai vertici europei e che potrebbero portare alla guida del paese una coalizione di destra di impronta marcatamente sovranista e populista. Dal canto loro, le forze politiche percepiscono in maniera netta quanto i destini nazionali siano sempre più legati a quelli europei: una tendenza consolidatasi nel corso degli anni e resa più evidente dall’esperienza della pandemia e della guerra all’Ucraina, con i relativi strascichi economici e sociali.

Tutto questo emerge chiaramente dai programmi elettorali delle principali forze in campo. Dal Partito democratico alla coalizione di centrodestra, dal Movimento 5 stelle al terzo polo di Calenda e Renzi, tutti ribadiscono con forza la collocazione euro-atlantica dell’Italia.

La convinta adesione all’Unione europea non è mai stata così marcata e trasversale, e risulta quasi sorprendente visti i trascorsi euroscettici in particolare di Fratelli d’Italia, Lega e Movimento 5 stelle. Evidentemente è ormai considerata un elemento necessario a tranquillizzare l’elettorato, ma anche i partner e i mercati internazionali, sull’affidabilità del futuro governo. Nessuno tra i partiti maggiori si sogna più di mettere in discussione l’appartenenza alle istituzioni europee e di invocare l’Italexit o il ritorno alla lira come in passato.

Altrettanto trasversale è però il riconoscimento della necessità di riformare l’Unione, promuovendo una serie di cambiamenti che rispondono agli interessi nazionali. È proprio sulla natura delle riforme necessarie e sulla valutazione degli interessi nazionali che le agende delle forze politiche si differenziano marcatamente.

La coalizione di centrodestra si limita a illustrare priorità generali, come rendere l’Unione più politica e meno burocratica, la revisione del Patto di stabilità e della governance economica, l’attenzione alla transizione ecologica. Non ci sono linee d’azione specifiche e l’agenda sovranista e identitaria si riduce ad appelli generici per la “difesa della Patria” e la “difesa e la promozione delle radici e delle identità storiche e culturali classiche e giudaico-cristiane dell’Europa”.

È evidente la difficoltà di fare una sintesi convincente tra le posizioni europeiste espresse da Forza Italia all’interno della famiglia del Partito Popolare Europeo e quelle euroscettiche e antifederaliste rappresentate da Fratelli d’Italia e Lega.

Sovranità

La Lega però mette nero su bianco alcuni dettagli nelle oltre 200 pagine di programma presentato a nome del partito in aggiunta a quello di coalizione. C’è un richiamo «ai princìpi cardine di sovranità e competenze esclusive degli stati membri», alla difesa del voto all’unanimità nel Consiglio Ue e del metodo intergovernativo in materie sensibili come esteri e difesa, alla gestione nazionale di settori come salute, sicurezza e immigrazione.

Insomma un’Europa delle nazioni che sembra molto distante dall’impegno sottoscritto dall’Italia nei Trattati per un’Unione sempre più stretta. Di segno opposto la proposta del Partito democratico, che avanza una riforma dei Trattati verso un rafforzamento delle istituzioni comuni, l’abolizione del diritto di veto, la riforma del Patto di stabilità verso un nuovo Patto di sostenibilità che coniughi attenzione ai conti pubblici e investimenti necessari per transizione ecologica e sviluppo, la creazione di una Confederazione europea che leghi i 27 stati membri ai paesi candidati, a partire dai Balcani occidentali.

Riforma federale dei trattati

Il Movimento 5 stelle presenta un programma che sottolinea molto gli aspetti di lotta all’austerità, con la creazione di un “Energy recovery fund” alimentato dall’emissione di debito comune europeo, l’emissione permanente di debito comune europeo, lo scorporo degli investimenti verdi dal computo del deficit nazionale, oltre all’introduzione di un meccanismo comunitario per la gestione dei flussi migratori e dell’accoglienza e distribuzione dei migranti.

Il programma di Calenda e Renzi è estremamente ambizioso, anche se parziale. Troviamo il riferimento esplicito a una riforma in senso federale dei trattati, con particolare attenzione all’Unione bancaria e alle capacità fiscali europee, l’abolizione dell’unanimità nel processo decisionale, l’adozione di una politica estera comune inizialmente con i paesi più interessati e capaci, il completamento del processo di riconoscimento dei titoli di studio nell’Unione.

L’impressione complessiva che si ricava dalla lettura dei programmi è quella di un “europeismo di necessità”, che in alcuni casi ben individuabili si sposa con un “europeismo per convinzione”, ma rimane sempre accennato e mai sviscerato.

La campagna in corso, breve e urlata, non fa ben sperare in maggiori approfondimenti. Resta quindi l’attesa per una visione ben definita, concreta e di lungo periodo sul ruolo dell’Italia e sul futuro dell’Unione, che sia all’altezza di quella disegnata da Draghi e Mattarella, e possa affiancarsi e se necessario competere con quelle già avanzate in Europa, con chiarezza, da Macron e Scholz.

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