Giorgia Meloni non rinuncia a portare un giornale in tribunale. Una notizia che colpisce tutte le opposizioni politiche del governo di destra e le associazioni di categoria per la decisione inedita di portare avanti l’azione legale intentata a fine 2021 contro Domani per un articolo di Emiliano Fittipaldi nonostante l’incarico di guida dell’esecutivo.

La politica si muove già per esprimere solidarietà. Carlo Calenda, leader di Azione, ricorda che non ha mai querelato un giornalista in tutta la sua attività politica e dice: «Credo sia profondamente sbagliato farlo. Tanto più quando sei un presidente del consiglio o un ministro». Sulla stessa linea d’onda anche il suo compagno di federazione Ettore Rosato, di Iv, che commenta: «Quando si è dalla parte del potere in politica, mai utilizzarlo» per questo tipo di vicende.

Le critiche a Meloni

È d’accordo anche Riccardo Magi di Più Europa: «In una situazione di democrazia matura ci si aspetterebbe che il presidente del Consiglio ritirasse una querela che oltre a essere molto temeraria provoca il fatto che, oltre a chi la prende, anche gli altri ragionino due tre volte se scrivere oppure no, creando di fatto una situazione di autocensura». Anzi, sostiene Magi, «ci si aspetterebbero spiegazioni sulla vicenda» che ha raccontato Fittipaldi nel 2021.

Resta lo stupore per la decisione di Meloni di non ritirare la querela, nonostante il cambiamento nella sua situazione dal momento in cui è stata presentata a oggi. «Sarebbe lodevole da parte di una presidente del consiglio non fare causa ai giornalisti perché la sua è una posizione molto elevata, la querela l’ha fatta prima di avere questo ruolo. Oggi sarebbe nobile ritirarla», dice Milena Gabanelli, storica autrice di Report e giornalista del Corriere, che aggiunge: «Non è mai un buon segnale, non è una bella cosa, anche se avesse ragione».

Questione d’opportunità

Sulla stessa linea d’onda anche il senatore dem Walter Verini: «Il giornalismo d’inchiesta è molto spesso ruvido e quasi sempre scomodo. Ma è proprio per questo che va difeso. Ciò non vuol dire che le inchieste non possano contenere elementi diffamanti. In questo caso è giusto tutelare la propria onorabilità. Tuttavia è buona norma correggere, replicare, affermare le proprie ragioni, non querelare i giornalisti». Secondo Verini però «la posizione odierna di Meloni rende in ogni caso “impari” la posizione del giornalista e della stessa Meloni. Ci sono analogie con il caso Saviano e inviterei a riflettere la presidente Meloni su questo».

D’accordo anche Nicola Fratoianni, leader di Sinistra Italiana. «Trovo che chi assume cariche pubbliche come la presidente del Consiglio farebbe meglio a ritirare la querela contro gli organi di stampa di questo paese, considerato il suo ruolo. Dovrebbe evitare di creare o portare avanti situazioni di questo genere».

Il problema legislativo

La questione centrale rimane la mancanza di una norma che regoli le querele temerarie. L’ultimo testo sull’argomento è naufragato in Senato quando a presiederlo c’era Piero Grasso, nella XVII legislatura, terminata nel 2018, in quarta lettura. Di conseguenza, come spiega anche Beppe Giulietti, portavoce di Articolo 21 «il problema è che il querelatore non paga un euro, se è potente sa che non paga pegno». Per la legge, comunque, non sembra esserci speranza: «C’è assenza di volontà diffusa di portare a casa il provvedimento».

Come dice Magi, poi, la querela temeraria «è uno strumento d’intimidazione per chi non ha un editore alle spalle» continua Giulietti. «Chi scrive su blog e siti magari ci pensa due tre volte prima di pubblicare se rischia di passare anni a difendersi».

Su Twitter il sindacalista assicura anche che «se la redazione di Domani lo riterrà saremo con loro, anche in tribunale, per respingere le querele bavaglio di ogni natura e colore». Gli fa eco il collega europeo Ricardo Gutiérrez, segretario della federazione europea giornalisti, che twitta: «In Italia la destra estrema mostra la sua vera faccia. Solidarietà piena a Domani, Giorgia Meloni, vergogna!»

Il problema delle querele temerarie è da anni una priorità dei sindacati europei di categoria: la situazione dell’Italia, che è al settantottesimo posto nella classifica mondiale della libertà di stampa, è stata segnalata più volte dalle associazioni di categoria anche a Unione europea e consiglio d’Europa. Per ora, senza successo.

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