ll deputato, dopo la visita ispettiva: «Ora ci sono 25 persone. In tutto ne sono transitate duecento. Alle forze dell'ordine è stato dato un ordine surreale dal Viminale: non fornire nemmeno i numeri dei reclusi. Li abbiamo contati incontrandoli. Un’opacità inutile, per nascondere il più possibile il fallimento»
I centri albanesi forse «funzioneranno», come volle affermare la presidente italiana Giorgia Meloni, ma al momento non funzionano. E proprio per niente. Lo hanno verificato tre parlamentari italiani, che martedì 28 ottobre hanno svolto una visita ispettiva a sorpresa nel Centro di permanenza per il rimpatrio di Gjader. Matteo Orfini e Rachele Scarpa, del Pd, e Riccardo Magi di Più Europa sono andati lì insieme a una delegazione del Tavolo Asilo e Immigrazione, operatori e operatrici «con cui abbiamo sin dal primo giorno costruito queste missioni», racconta Orfini al ritorno.
Non è stata una visita “spot”. Spiega: «Da quando esistono i centri in Albania abbiamo deciso di condurre una campagna di ispezioni per verificare cosa accade e per rompere il velo di opacità con cui il governo ha scelto di coprire questa brutta storia». «Nella prima fase, quando i centri sono stati utilizzati per la cosiddetta procedura accelerata di frontiera, ogni giorno in cui i migranti erano nel centro, c’era sempre almeno un parlamentare a controllare e verificare. Dopo che per effetto delle sentenze che hanno dimostrato l’illegittimità del programma il centro è stato trasformato in un Cpr, abbiamo continuato a essere presenti per monitorare la situazione».
Quanti ospiti ci sono ora nel Cpr?
Circa 25 persone. Da quando è utilizzato come Cpr, in tutto sono transitate per il centro poco più di 200 persone. Persone che non aveva alcun senso portare lì, perché nei Cpr italiani da cui provengono c’era posto. E perché comunque dopo qualche giorno li hanno comunque dovuti riportare in Italia. È un grottesco disumano, e costoso, gioco dell’oca: prendi qualche migrante recluso in un Cpr italiano, lo porti in Albania per ragioni di pura propaganda, lo tieni lì qualche giorno e poi lo riporti in Italia. In ogni caso, anche nel caso in cui il rimpatrio si può fare, perché sempre dall’Italia deve essere eseguito.
Chi sono le persone che avete trovato, e quali condizioni sono?
Abbiamo incontrato alcuni migranti, abbiamo ascoltato le loro storie, come sempre durante queste visite ispettive. Ovviamente sono persone in una condizione complessa. Spesso non capiscono nemmeno per quale ragione siano stati scelti per essere deportati in Albania, ammesso che ce ne sia una. Peraltro nonostante la professionalità delle forze dell'ordine che operano nel centro e dell’ente gestore, le condizioni in cui si trovano rendono complicato il rispetto di alcuni diritti basilari, come quello alla difesa. L'interlocuzione con il proprio avvocato è già complessa per i migranti trattenuti nei Cpr italiani, figuriamoci per chi si trova in Albania e può contattare il legale solo telefonicamente. Spesso si verificano quelli che vengono definiti «eventi critici», cioè atti di autolesionismo: d’altra parte per chi si trova in quei centri spesso è l'unico modo di testimoniare la propria sofferenza.
Avete parlato con le forze dell'ordine impegnate in questa missione?
Le forze dell'ordine come sempre sono state professionali e collaborative. Resta però un problema di fondo: la decisione del Viminale di non fornire nemmeno le informazioni basilari. Per fare l’esempio più surreale: non è consentito nemmeno dirci quante persone sono recluse nel centro. Dato che però possiamo ricavare contandole durante l’ispezione. In questi mesi abbiamo recuperato tutte le informazioni attraverso una serie di accessi agli atti. Ma questa mancanza di trasparenza è assurda, ingiustificabile e arbitraria. Mi chiedo se la ragione non sia la volontà di Meloni e del ministro dell’Interno Piantedosi di nascondere il più possibile questo fallimento.
A questo punto, cosa chiedete al governo?
Sempre la stessa cosa: abbandonare questa follia e chiudere i centri. Dovrebbe essere un dovere, ancora di più dopo gli ultimi pronunciamenti della Cassazione. Questo progetto costerà un miliardo in cinque anni al nostro paese. Soldi buttati per cosa? Solo per impedire che Meloni debba riconoscere di aver fallito.
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