Ha fatto un accostamento in apparenza azzardato, papa Francesco, qualche giorno fa parlando agli Stati generali della natalità. Il pontefice ha infatti assimilato i danni prodotti dall’industria degli armamenti a quelli generati da chi fabbrica anticoncezionali. I primi distruggerebbero la vita che c’è, gli altri impedirebbero a quest’ultima di sorgere. Il papa si è scagliato contro ogni forma di controllo delle nascite. La fame e l’inquinamento non sarebbero causate per lui, almeno in parte, dalla sovrappolazione, da una crescita senza controllo delle natalità in alcune zone del mondo. Il vero pericolo per l’intero pianeta giungerebbe, sono sue parole, «dalle scelte di chi pensa solo a stesso, dal delirio di un materialismo sfrenato, cieco e dilagante, da un consumismo che, come un virus malefico, intacca alla radice l’esistenza delle persone e della società».

Le parole del papa non sono solo parole. Corrispondono a una visione del mondo e della vita diffusa nel mondo cattolico e che si traduce in azioni concrete, in militanza attiva. Questo succede ad esempio in Africa laddove, l’ho visto con i miei occhi, molti sacerdoti cattolici esortano i fedeli, talvolta con messaggi terrorizzanti sulle conseguenze del mancato rispetto di queste prescrizioni, a rinunciare agli anticoncezionali, a mettere al mondo tutti i figli che Dio ha deciso di mandar loro, aumentando inevitabilmente, per questa via, fame, povertà, mortalità infantile e favorendo la diffusione di malattie sessualmente trasmesse come l’Aids.

La cosiddetta «apertura alla vita» è un mantra di molti movimenti ecclesiali i cui membri sfornano, grazie alla rinuncia a usare gli anticoncezionali, valanghe di figli destinati, nelle aspettative di chi li fa, ad animare una chiesa del futuro trasformata in una collezione di sette fondamentaliste. Il discorso del papa è musica alle orecchie di tutti costoro, un balsamo salvifico che conferma la bontà e l’ortodossia della loro visione del mondo e della vita.

L’individualismo

La radice di ogni male, la causa principale del declino demografico è, per Francesco, il maledetto individualismo, quello che conduce, il papa lo ha ribadito nel discorso dell’altro giorno, a riempirsi la casa di oggetti e di animali domestici svuotandola di figli.

Dobbiamo averlo chiaro in mente: l’individualismo, per come è inteso dal papa, coincide per tanti rispetti con ciò che noi definiamo libertà. La libertà di possedere un cagnolino, di usare un anticoncezionale per evitare una gravidanza non voluta, di sposarsi con una persona dello stesso sesso, di divorziare da un partner che non vogliamo più avere accanto, di ricorrere, quando fosse necessario e nelle condizioni stabilite dalla legge, all’interruzione volontaria di gravidanza, di ottenere una fine dignitosa e indolore quando la vita non ci pare più degna di essere vissuta. Tutte queste libertà al papa e all’ortodossia cattolica non piacciono. Se avessero la possibilità di farlo, il papa e le gerarchie cattoliche di tutte queste libertà ci costringerebbero a fare a meno. Naturalmente solo per il nostro bene, per liberarci dalla presenza del maligno, dalla tentazione diabolica dell’individualismo.

Le società migliori, per il papa, sono quelle nelle quali all’io che reclama diritti e libertà si sostituisce un “noi” che, interpretando a suo modo la volontà di Dio, stabilisce cosa sia bene e cosa male per tutti. L’abitante ideale di una società come quella sognata da papa Francesco è un suddito la cui principale virtù è l’obbedienza, la subalternità all’ordine delle cose stabilito forse da Dio, ma sicuramente incarnato nel potere della Chiesa e dei suoi ministri. In un universo sociale come quello, dove è vietato nutrire qualunque aspirazione personale, l’eguaglianza finirebbe per coincidere con l’uniformità, con l’intruppamento obbligatorio. A guardar bene si tratta di nient’altro che di quel mondo dal quale abbiamo iniziato ad uscire all’alba della modernità, della società tradizionale di cui la chiesa era un perno essenziale.

La condizione femminile

Dell’architettura culturale che ho cercato di descrivere c’è un ultimo dettaglio che conviene non trascurare. Riguarda le donne. Nel pensiero del papa non vi è nulla di più tragico dell’emancipazione femminile. Ha voglia Francesco di dire, come ha fatto l’altro giorno, che alle donne dev’essere concesso di lavorare e insieme di generare. Ma come diavolo faranno a lavorare donne che il papa vuol privare della possibilità di controllare le nascite e di tutti gli altri diritti sulla riproduzione? La verità è che il pontefice non fa passar giorno senza esaltare a parole il genio femminile e il principio mariano, ma la chiesa rimane la principale avversaria dei diritti delle donne.

Al suo interno le tiene ai margini esaltando il celibato maschile dei sacerdoti, negando loro persino il diaconato, privandole di ogni potere nelle parrocchie e confinando molti ordini religiosi femminili a mansioni di mero servizio al clero.

All’esterno, pretende di legiferare sulla loro vita restringendo l’ambito delle loro libertà e proponendo implicitamente un modello che assegna alle donne il tradizionale ruolo subalterno di angeli del focolare. L’intero elenco di perniciose libertà delle quali i cittadini delle società più avanzate possono godere è infatti, per il papa e la chiesa, tanto più negativo e deleterio quando queste vengono estese alle donne.

Il volto della secolarizzazione si fa mostruoso per la chiesa quando assume le sembianze di una ragazza single, che vive con un gatto, guadagna bene, prende la pillola e non va più in chiesa come facevano invece la mamma e la nonna, casalinghe e madri di famiglia.

Credo che tutti coloro che hanno eletto, ormai da tempo, Papa Francesco leader virtuale della sinistra e del progresso sociale abbiano materia per riflettere. A lungo.

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