«Non mettiamo becco nella vicenda interna del M5s». Al Nazareno l’ordine di scuderia è stato ribadito ieri mattina, alla lettura della rassegna stampa. Dove, per effetto paradosso, in parallelo alla ventilata scissione grillina veniva descritta una divisione nel Pd: da una parte chi starebbe con Giuseppe Conte, principalmente nell’ala sinistra del Pd, dall’altra chi tifa Luigi Di Maio, per lo più Base riformista.

Ma è un gioco rischioso. Per questo il segretario Enrico Letta ha chiesto ai suoi uno sforzo di compostezza. Da Monza, di mattina, ha dato la linea: «Non mi permetto di entrare nelle discussioni di un partito con cui lavoriamo insieme», ha sottolineato. «L’ultima cosa che penso di fare è mettere becco dentro le discussioni altrui, già faccio fatica a gestire le nostre...». L’autoironia nasconde la preoccupazione per l’ariaccia che tira nel M5s, per le conseguenze nel governo e nell’alleanza.

Il gradimento

Anche perché nel Pd in effetti il dibattito ferve: Base riformista, dopo il flop grillino delle amministrative, dichiara «archiviata la special relationship con M5s» (Alessandro Alfieri, portavoce della corrente). E in generale sale la simpatia per Luigi Di Maio, ormai considerato più governista e in fin dei conti più affidabile di Conte.

Un’interpretazione che un deputato molto vicino a Letta bolla come «forzata e strumentale» perché «è del tutto evidente che un partito non può condizionare le dinamiche democratiche di un altro movimento, ancorché alleato». Anche se ai tempi della fine del governo Conte, in molti avevano consigliato l’ex premier di varare una lista tutta sua, una sorta di civica nazionale, cui avevano guardato con interesse anche personalità di Articolo 1 e della sinistra. Conte ci aveva lavorato con un suo team di “cacciatori di teste”. Ma poi il richiamo della foresta di Beppe Grillo ha spazzato via l’ipotesi.

Il secondo mandato

Intanto ieri il ministro Di Maio ha sganciato, come promesso, un altro colpo: si è schierato contro la deroga al secondo mandato, «per tutti» – dunque per sé stesso ma anche per mezzo gruppo dirigente, per il candidato in pectore alle primarie in Sicilia Cancelleri e secondo alcune interpretazioni anche per Conte – e ha lanciato un nuovo avviso: il movimento «si sta radicalizzando. Sta tornando indietro».

Un fatto indiscutibile, questo, visto che la maggioranza è agitata dalla mozione contro le armi ventilata dai grillini per la prossima settimana, su cui il sottosegretario Amendola sta tentando una delicata mediazione; seguirà un altro voto a rischio alla Camera, in commissione, sull’inceneritore romano.

Nel Pd è, se non vietato, caldamente sconsigliato esprimere preferenze a voce alta. «L’interlocuzione del Pd con i Cinque stelle è quotidiana e con tutti», secondo Francesco Boccia, che ai tempi del governo Conte II era l’ufficiale di collegamento fra i due partiti e aveva un filodiretto con il premier. Ora tiene una postura ecumenica, «non entriamo nelle dinamiche interne».

Non ingerenza, quindi, nella speranza che il caos grillino non produca reazioni a catena. E nella convinzione che «non pregiudichi dialogo con il Pd», che però è anch’essa una speranza. Letta ricorda in pubblico che il suo interlocutore «omologo» è ovviamente Conte. Ma dal Nazareno viene raccontato anche che in questi mesi Letta «ha tenuto sempre un canale di dialogo con Di Maio, in tutti i passaggi rilevanti della vita pubblica, dall’elezione del capo dello Stato alla guerra in Ucraina». Ma si tratta di «buoni rapporti alla luce del sole, nulla da nascondere».

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