«È finito, cosa posso farci?». A domandarlo sconsolata è Gemma Vecchio, volto e simbolo di Casa Africa, rivolta a uno dei tanti uomini davanti a lei che le chiedeva una porzione in più di cibo. Se la avesse avuta, gliel’avrebbe data con tutto l’entusiasmo che l’accompagna da quarant’anni di attività. Come ogni mercoledì, lei e gli altri volontari battono il perimetro attorno alla stazione Termini, a Roma, per consegnare pacchi alimentari e una coperta a chi passerà la notte al freddo.

Non c’è differenza nei destinatari: a riceverli, prima con diffidenza e poi con gioia, sono stranieri e italiani. Il numero di persone da assistere cresce di pari passo all’inflazione, che sta svuotando i carrelli della spesa. Da quanto afferma l’Istat, a ottobre i prezzi alimentari sono aumentati del 12,8 per cento su base annua, come non si vedeva dall’estate di quarant’anni fa. Non basta sapere di essere poco al di sotto della media europea.

L’unica, inevitabile, conseguenza di questo dramma è l’estromissione dall’accesso al cibo della parte più vulnerabile della popolazione. La forbice di coloro che necessitano di una qualche assistenza si sta drammaticamente allargando: in Italia, come ha spiegato la Caritas nel suo ultimo rapporto, ci sono all’incirca 5,6 milioni di individui che vivono in povertà assoluta, di cui 1,4 bambini. Per tutti loro, sarà meno Natale degli altri.

I nuovi poveri

«Stiamo ricevendo tante richieste d’aiuto, specie negli ultimi due mesi. C’è una quota importante di nuovi poveri, di persone che hanno perso il lavoro e non riescono ad andare avanti» ci spiega Antonio Daood, presidente del Banco Alimentare. È grazie a lui che tante associazioni, compresa Casa Africa, si riforniscono per sfamare chi non può comprarsi da mangiare. «Noi lo recuperiamo e poi lo distribuiamo alle organizzazioni caritatevoli. La maggior parte di quello che distribuiamo viene dal Seed (uno dei sei programmi messi in campo dall’Ue per lo sviluppo sociale nei paesi membri, ndr), che fornisce derrate a tutta una rete di banchi alimentari, come la nostra. Poi, a loro volta, vengono distribuite a una serie di enti sul territorio». Tra questi, anche la Croce Rossa italiana.

Al Comitato dell’Area metropolitana di Roma, nel quartiere Gianicolense, le persone si mettono fin dalla mattina presto, al freddo, in attesa di sedersi davanti a un operatore, raccontare la loro storia e dire ciò di cui hanno più bisogno: cibo, più di ogni altro bene.

«Nel corso del 2022 abbiamo calcolato che le richieste di supporto alimentare sono aumentate almeno del 30per cento», afferma Paola Bernieri, delegata dell’Area Sociale della Croce Rossa della capitale. «Solo nell’area metropolitana di Roma, supportiamo circa trecento famiglie, a cui se ne aggiungono altre cinquanta del Municipio I che è di nostra competenza». Nonostante l’insofferenza di chi attende il proprio turno, la fila viene lentamente smaltita. Il motivo è l’attenzione riservata al singolo. «Prima li vogliamo conoscere, vogliamo comprendere cosa c’è dietro le loro esigenze. Il pacco alimentare deve essere consegnato capendo la storia delle persone. C’è un numero di poveri fortemente in crescita perché c’è, da anni, uno schiacciamento verso il basso». A non farcela ad arrivare a fine mese sono uomini, donne sole con bambini a carico, disabili, giovani e anziani. Insomma, la povertà è eterogenea.

Sempre più richieste, sempre meno disponibilità

Nel 2021, i destinatari raggiunti dalla Croce Rossa sono stati 295.067, di cu il 55 per cento donne. In tutto, sono stati consegnati 1.256.541 pacchi alimentari, distribuiti dagli operatori il giovedì e il sabato dalle 10 alle 13 su appuntamento o consegnati a domicilio. Al loro interno viene messo tutto l’essenziale con cui quattro persone possono tirare avanti per diversi giorni.

Tuttavia, con la crisi economica e i problemi di approvvigionamento, riempirli non è così facile nonostante la mole di progetti, nazionali ed europei, a cui rivolgersi. «Riceviamo dai supermercati e dai privati, ma riscontriamo delle difficoltà» continua Paola. «Abbiamo meno pasta, così come meno olio. Un tempo, quando era difficile trovare quello di oliva, si sopperiva con quello di semi, mentre oggi si fa fatica a trovare anche questo. La risposta che ci siamo dati è la guerra in Ucraina: mentre prima non abbiamo mai avuto scarsità di pasta, ora dobbiamo sostituirla con il riso. Il che va anche bene per certi aspetti, ma è un dato».

Lo stesso che viene riscontrato anche da altre enti caritatevoli, come la parrocchia SS. Redentore a Val Melaina, a Roma, che fa servizio mensa quotidiano. Oltre all’aumento dei costi che devono coprire, da quello delle utenze fino ai contenitori per il cibo, c’è da far fronte anche alle difficoltà nella reperibilità dei prodotti. Ad occuparsene è Pino, pronto a scattare a qualsiasi ora – anche della notte – non appena qualcuno abbia qualcosa da offrire.

«Pane e pasta pare che al Banco Alimentare non ce ne siano» afferma. «Di solito è sempre ben fornito, ma da un mese scarseggiano materie prime essenziali. Fortunatamente il pane ce lo dà un forno qua vicino, che ci consegna tutto quello che rimane dal giorno prima, ma per la pasta è un problema. Frutta, verdura e il resto lo prendiamo da altre associazioni. Un grande carico l’ho fatto ultimamente dalla centrale della Conad del Lazio. Non è la nostra prima fonte, ma quando hanno prodotti prossimi alla scadenza ci chiamano».

Con quello che racimolano, riescono a sfamare 150 persone al giorno. Ci riescono nonostante tutto, anche grazie ad un aiuto esterno, magari dall’alto. «In questa mensa conta molto la provvidenza» ammette ridendo. Mentre racconta la storia della parrocchia, attorno a lui una decina di volontari (dei cento che la frequentano) impaccano e distribuiscono il cibo sui tavoli. «Siamo gestiti dai missionari scalabriniani, di cui un mese fa hanno fatto Santo il fondatore Giovanni Battista Scalabrini. Il suo scopo era di servire gli emigranti, quando nell’Ottocento gli italiani erano gli africani di oggi. Le sue idee stanno tornando alla ribalta adesso, con quello che stiamo vivendo».

Dalla cucina, intanto, arriva l’odore di cucinato: di solito il menù recita un primo con verdure e carne, un secondo che raramente vede la carne anche per rispettare la fede religiosa di ognuno, frutta e verdura. In vista del Natale, gli chef penseranno a qualcosa di speciale.

Il momento d’oro dei discount

La crisi riguarda però tutto. Se l’uomo è davvero ciò che mangia, i dati degli ultimi mesi evidenziano come la povertà alimentare costringa, senza appello, a scegliere prodotti meno costosi e quindi con qualità inferiore. I numeri sono lapalissiani: nei primi sei mesi dell’anno, i discount italiani hanno registrato un aumento degli incassi del 3 per cento su base annua, arrivando al 12,3 per cento solo a luglio.

Rispetto a tre anni fa, gli acquisti medi settimanali sono cresciuti dell’1,4 per cento a discapito di supermercati, minimarket e canali tradizionali di vendita. Non che nei prossimi 12-18 mesi la situazione sembra migliorare, con le vendite nei discount che dovrebbero aumentare ulteriormente dell’87 per cento. A gonfiarle sarà anche la spesa in questi giorni di festa, nonostante il 47 percento degli italiani abbia deciso di ridurre la quantità di alimenti da mettere in tavola. Più di un terzo ha invece preferito risparmiare sulla qualità. Scelte imposte dall’inflazione, l’altra faccia di questo Natale.

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