Ieri la premier Giorgia Meloni non ha rinunciato ad essere a Catania per sostenere il candidato di centrodestra alle comunali. Un modo per ritrovare l’habitat a lei più congeniale e allontanare le due ombre che gravano sul governo: il Pnrr e la nomina del commissario per la ricostruzione in Emilia-Romagna.

A incaricarsi di ricordarle che il tempo stringe, però, è stato il Fondo monetario internazionale, che ha pubblicato il suo rapporto periodico e lascia poco spazio alle interpretazioni: la crescita del Pil è positiva, in particolare grazie al Pnrr. O meglio, se il Pnrr sarà sfruttato a pieno «in modo completo e tempestivo», in quanto «necessario per aumentare la produttività e il potenziale di crescita» e per gestire le sfide poste all’Italia «dall’invecchiamento della popolazione, i cambiamenti climatici, la sicurezza energetica e la frammentazione globale». Quello del Fmi è solo l’ennesimo monito per il governo, a cui viene chiesto un cambio di passo che ancora non è arrivato.

A questo, l’alluvione ha aggiunto un problema del tutto inatteso. L’Emilia-Romagna va ricostruita e, oltre agli stanziamenti statali, l’Ue si è già detta disponibile a contribuire con il fondo di solidarietà europeo appena ci sarà una quantificazione dei danni. L’incognita su chi coordinerà la ricostruzione ha solleticato ancora una volta la smania del governo di appropriarsi di ogni incarico.

Quale commissario?

Di qui il dilemma di Meloni: la strada che conosce meglio è quella di nominare come commissario un proprio uomo, come chiedono anche il leader leghista, Matteo Salvini e buona parte di Fratelli d’Italia. La tentazione è forte e ci sarebbero ottime ragioni per farlo: uno dei nomi possibili sarebbe quello del deputato di FdI, Galeazzo Bignami, che con questo incarico potrebbe cementare meglio la sua candidatura alle elezioni regionali del 2025. L’alternativa meno smaccatamente politica sarebbe quella di attingere al bacino dei prefetti d’area centrodestra e quindi consegnare il ruolo a un tecnico che presterebbe meno il fianco a critiche e accuse di cavalcare la tragedia per tornaconti politici. L’alternativa è quella di seguire la prassi e nominare commissario il presidente della regione colpita. Dunque il dem Stefano Bonaccini, con cui Meloni stessa ha trovato inaspettata sintonia e che ha il favore dei governatori di centrodestra: il calabrese Roberto Occhiuto, il ligure Giovanni Toti, il veneto Luca Zaia e il giuliano Massimiliano Fedriga.

Entrambe le strade sono percorribili, con rischi e opportunità. Per giustificare la scelta di un proprio fedelissimo, palazzo Chigi sta ragionando di puntare sui risultati non eccelsi della giunta Bonaccini nella gestione dei fondi per la prevenzione. Tra il 2015 e il 2022 l’Emilia-Romagna ha ricevuto oltre 190 milioni per costruire 23 opere per prevenire l’esondazione di fiumi e torrenti, ma solo dodici sono funzionanti. Col rischio, però, dell’effetto boomerang, perché affidare per ragioni politiche il ruolo a chi è lontano dalla macchina regionale potrebbe rallentare la ricostruzione e infastidire i futuri elettori. Affidare il compito al presidente del Pd, invece, legherebbe i dem a condividere con il governo responsabilità così pesanti, anche in vista della prossima campagna elettorale. Inoltre, il beneficio indiretto sarebbe quello di creare un’asse con l’area del Pd più lontana alla segretaria Elly Schlein, che in questi giorni sta vivendo una fase di appannamento. A voler ragionare per precedenti, però, fin qui la parola d’ordine del governo è stata: «pigliatutto». Anche a costo di doversene poi pentire.

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