L’applauso più lungo dei grandi elettori è per il presidente uscente Sergio Mattarella. Enrico Letta gli indirizza un caldissimo ringraziamento. E dalla reazione si capisce che quella platea  ancora non ha archiviato la possibilità di un reincarico.

Nell’auletta dei gruppi parlamentari il segretario Pd riunisce i suoi e assicura che il nome del nuovo inquilino del Colle sta per arrivare. Non giovedì – non ci sono i tempi per siglare l’accordo con le altre forze della maggioranza – ma venerdì.

Poi rivela un retroscena: «I nostri no ai candidati del centrodestra erano pubblici», i loro sono stati una lunga sfilza di no privati. Per ora il centrodestra nella sua interezza ha detto di no a tutte le nostre ipotesi di personalità terze: Mattarella, Draghi, Amato, Casini, Cartabia, Riccardi».

Le destre, che attaccano i giallorossi per i loro «no» a tutti i loro candidati – da Berlusconi a Moratti a Pera a Nordio e infine alla presidente Casellati – a loro volta hanno detto no a tutte le proposte avanzate dal centrosinistra. Sono dunque cinque no contro altri cinque no. Ma ora Letta è ottimista: «Spero che almeno uno dei loro no si trasformi in sì».

Il convitato Casini

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E sono molti i grandi elettori che capiscono dal discorso che l’ultima proposta, quella che può sbloccare la situazione, è quella di Pier Ferdinando Casini. Perché l’imperativo è «non rompere la maggioranza», e fare «uno sforzo collettivo perché tutti si sentano vincitori», come riferisce su twitter il deputato Stefano Ceccanti. 

Non è esattamente l’esito che Letta si augurava: «Venerdì saremo tutti un po’ scontenti di qualcosa, a partire da me», ammette. 

Ma il bicchiere è mezzo pieno: «Oggi è una grande giornata perché il centrodestra ha dovuto cambiare linea e venire sulla linea che indichiamo da una settimana, di un presidente super partes». 

Per la verità anche i Cinque stelle hanno dovuto avvicinarsi alle posizioni del Pd, smentendo «qualsiasi riferimento o commento del M5S a nomi di possibili candidati al Quirinale. Il Movimento sta dialogando per una soluzione condivisa». Viene interpretato come un via libera al nome di Casini. 

Ma è un nome che dovrà essere fatto dalla maggioranza intera, e non da una sola parte.  E c’è ancora un pezzo di strada da percorrere.  «È tutto completamente per aria e non per colpa nostra», dice Letta, «se non ci saranno novità entro domattina confermerò la scheda bianca».

Le novità dovrebbero arrivare dalla riunione del centrodestra, convocata per giovedì alle 8 e mezza. Alle 11 inizierà la quarta chiama, quella in cui per eleggere il presidente della Repubblica basterà la maggioranza assoluta dei voti, 505. 

Ma è probabile che, salvo impallinamenti dell’ultima ora, sempre possibili, l’elezione del nuovo capo dello stato avverrà venerdì.

Il campo largo

Un primo risultato però secondo Letta è stato raggiunto: «Grazie al rispetto reciproco con gli alleati siamo stati in grado di impedire esiti altrimenti pericolosi», e qui l’allusione è alla ventilata candidatura della presidente del senato Elisabetta Casellati.

Letta smentisce le voci a proposito dell’ambiguità dell’atteggiamento del presidente M5S Giuseppe Conte: «Con gli alleati c’è sempre stata massima trasparenza e reciprocità». E c’è un’altra cosa che il segretario vuole sottolineare: «Rivendico - non è stato abbastanza notato - che tutte le polemiche sul campo largo si sono dimostrate del tutto fuori luogo. In questo passaggio, fino ad ora, c’è stato un lavoro positivo ed efficace di tutta la coalizione del centrosinistra allargato.

Un lavoro positivo con Italia viva, ad esempio, che ha consentito di stoppare l’operazione Casellati. E coi 5 stelle che ci ha consentito di essere uniti e arginare i tentativi del centrodestra di sfondare». 

Ora il segretario chiede ai suoi «di essere uniti» per «reggere in Parlamento e parlare al Paese. I cittadini ci guardano e per questo dobbiamo essere lineari nei comportamenti, uniti tra di noi seri, degni: la cacofonia delle posizioni non fa bene a nessuno», «Siamo in grado di farlo perché siamo classe dirigente matura».

Lo sforzo per «legare la vicenda del presidente  della Repubblica con la tenuta dell’esecutivo e perché la legislatura arrivi fino in fondo» è stato fatto «non perché i parlamentari devono maturare la pensione, come si dice populisticamente, ma perché troppi sono i compiti e le responsabilità che dobbiamo portare a termine per il bene del Paese in questo momento storico complesso e difficile». 

Nota personale, alla fine: quella di aver gestito le trattative fin qui «senza mai sovrappormi a qualcun altro. Evitando una ricerca di protagonismo sfrenato - per noi come partito e per me stesso - perché ero sicuro che era il modo migliore per evitare di deragliare».

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