Non si sa bene quali siano le caratteristiche di Pier Ferdinando Casini che lo rendono “quirinabile” se non una certa trasversalità agli schieramenti.

Dopo una vita nel centrodestra, da leader dell’Udc, alle elezioni politiche del 2018 è stato eletto nelle liste del Partito democratico, nell’ambito di quella che sembrava una scomposizione del mondo un tempo berlusconiano.

Anche dopo 38 anni di parlamento, Casini continua a sembrare il più giovane dei vecchi, se confrontato con gli altri eredi dell’esperienza Dc (che includono Sergio Mattarella), a 66 anni sarebbe un presidente della Repubblica dinamico e lontano dalla figura del vecchio saggio delle istituzioni incarnata dagli ultimi tre inquilini del Quirinale.

Nei mesi scorsi è rimasto molto silente, nella speranza che questo aumentasse le sue possibilità di elezione, anche se è finito in tutti i retroscena sul Quirinale in quanto candidato di Matteo Renzi, nell’ambito del tentativo del leader di Italia viva di costruirsi un ruolo di raccordo tra centrodestra e centrosinistra.

L’ostilità, un tempo violenta, di Silvio Berlusconi per un antico tradimento nel 2008 pare ormai superata. Casini può contare su molti rapporti tra i partiti e nel potere italiano (la sua gestione indulgente della commissione parlamentare di inchiesta sulle banche gli ha generato molti crediti di riconoscenza), ma ha un profilo internazionale assai limitato che si limita alla presidenza della commissione esteri al Senato fino al 2017.

Nell’ipotesi che alla fine al Quirinale vada Mario Draghi, Casini potrebbe comunque avere un ruolo come presidente del Consiglio di un governo molto politico con dentro i leader di partito, come richiesto da Matteo Salvini. Per quel ruolo Casini avrebbe sicuramente la capacità di mediazione necessaria a gestire un equilibrio complesso in un anno elettorale, ma la sua efficacia nel gestire la coda della campagna vaccinale e l’attuazione dei progetti del Pnrr sarebbe tutta da dimostrare. 

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