Non è una rivolta dei sindaci del Pd contro il loro segretario, giurano. Ma ci manca poco. E comunque se non è una rivolta è solo perché in pochi credono che i referendum raggiungeranno il quorum.

Fatto sta che le parole di Enrico Letta alla direzione del Pd sul quesito per abolire la legge Severino sono senza possibilità di replica: «Netta contrarietà», calata nella relazione e ribadita nelle conclusioni. I sindaci dem, riuniti in un coordinamento guidato da Matteo Ricci, primo cittadino di Pesaro, erano stati avvertiti.

Ma anche Letta a sua volta sa bene che loro, praticamente tutti, la pensano diversamente. A partire da Ricci, che fino a pochi giorni fa dichiarava: «All’abrogazione della Severino voterò sicuramente sì».

Ricci, che guida anche Ali, l’associazione delle Autonomie locali italiane (quella dei sindaci «riformisti»), ha votato sì alla relazione dei Letta. E ora provare ad attenuare l’impatto: «Il parlamento intervenga subito, che ci siano amministratori che non abbiano il diritto al terzo grado di giudizio è aberrante dal punto di vista normativo.

Bisogna intervenire perché anche chi ha sperato nel referendum, con la bocciatura dei quesiti sulla cannabis e sul fine vita, sa che è quasi impossibile raggiungere il quorum. E siccome siamo amministratori, quindi pragmatici, diciamo che se non la si vuole abrogare, bisogna modificarla almeno per i reati minori.

Ci sono tanti amministratori, non ultimo il sindaco di Reggio Calabria Falcomatà», che è del Pd ed è di prestigiosa famiglia progressista da generazioni, «che sono decaduti o non si possono candidare per una condanna in primo grado.

Capisco le preoccupazioni di Letta: si vuole mantenere la legge per i reati di mafia. Ma va modificata per i reati minori, come l’abuso di ufficio in cui chi fa l’amministratore rischia di incorrere quotidianamente, essendo poi assolto nella stragrande maggioranza dei casi». Ricci è vicino al segretario, e i due sono d’accordo sulla modifica in parlamento della legge.

Ma nel Pd non sono pochi a pensare che se il parlamento non arriverà in tempo voteranno sì, dichiarandolo o no. La minoranza Base riformista lo dichiara: lo ha già anticipato il portavoce Andrea Romano. «Se non lo farà il parlamento è un bene che la parola passi ai cittadini», secondo Giorgio Gori, sindaco di Bergamo.

Ma il tema è trasversale, la pensano allo stesso modo anche molti “civici” progressisti: «La sospensione per diciotto mesi di un sindaco per una condanna in primo grado su reati minori è un fatto vergognoso che lede la nostra stessa democrazia», secondo Alessio Pascucci sindaco di Cerveteri (Roma), «Non stiamo parlando di immunità ma di riconoscere quanto scritto nella Costituzione: anche i sindaci sono innocenti fino al terzo grado di giudizio».

Una condanna su cento

La voce dei sindaci progressisti è solo un fiume nel mare dell’Associazione nazionale dei comuni. Il loro presidente è un altro democratico doc, il sindaco di Bari Antonio Decaro, che nel luglio scorso ha guidato a Roma una manifestazione «per la tutela e la dignità dei sindaci» e che a novembre all’assemblea nazionale di Parma ha ripetuto le parole contro la Severino davanti ai presidenti Draghi e Mattarella (che nel suo discorso ha riconosciuto la giustezza della battaglia).

Anche lui leva un grido di dolore: «Da molti anni i sindaci italiani si sono espressi in maniera univoca sulla legge Severino che prevede una sospensione di diciotto mesi dal mandato amministrativo, seppur in assenza di una condanna definitiva, anche per reati minori e soprattutto per un reato dal profilo incerto come l’abuso d’ufficio», «La stragrande maggioranza di queste sospensioni decade alla scadenza e l’unica conseguenza che ne deriva è un grave danno per la vita della comunità che rimane senza guida, e per la figura del sindaco, la cui vita politica e personale viene segnata».

L’Anci chiede che la legge sia cambiata «per scelta degli elettori o per una iniziativa del parlamento». I sindaci di ogni sfumatura di destra voteranno sì.

L’Anci esibisce dati: nel 2017 sono stati 6.500 i procedimenti aperti per abuso d’ufficio; di questi, solo 57 sono finiti con condanne definitive. Nel 2018, di 7.133 aperti ben 6.142 sono stati archiviati. Condanne in meno di un caso su cento. L’ufficio studi aggiorna in continuazione il database delle storie di primi cittadini sospesi e poi prosciolti.

Casi famosi, come quello di Stefania Bonaldi, di Crema, indagata per lesioni colpose nell’ottobre 2020 (un bambino si era schiacciato le dita in una porta di un asilo comunale). Proprio lunedì è arrivata la motivazione dell’archiviazione: non c’era «nessuna colpa specifica o generica».

Ma l’Anci fornisce anche un corposo fascicolo di storie meno note. Dopo la sospensione di Falcomatà, poi condannato in primo grado per abuso di ufficio, hanno firmato una proposta di modifica della Severino la responsabile Giustizia Pd Anna Rossomando, Dario Parrini, Franco Mirabelli, Alfredo Bazoli, Stefano Ceccanti e Andrea Giorgis. Letta è con loro.

La legge è in commissione alla Camera, e stamattina Ceccanti riproporrà di esaminarla: «Quando si tratta di sentenze definitive è un conto, ma per amministratori comunali e regionali la legge non va bene: vengono colpiti da sospensione per sentenze non definitive».

Ma i tempi sono lunghi. E a velocizzarli, fin qui, non è servito né il fatto che c’è contrasto rispetto alla stessa legge che impone la decadenza per ministri e parlamentari che però siano stati condannati in via definitiva a più di due anni. Né che a chiedere di cambiare la norma sia stata la stessa ex ministra della Giustizia Paola Severino e l’ex ministro Filippo Patroni Griffi.

E nemmeno un ordine del giorno presentato da Enrico Costa, di Azione, che impegna il governo a modificare la legge sul punto dell’abuso di ufficio. Oggi Azione è per il sì ai referendum. Come Italia viva, Forza Italia, e come la Lega che li ha promossi insieme al Partito Radicale. Voteranno no, almeno ufficialmente, Pd, M5s e FdI.

E se la modifica non arriverà? «Valuteremo», risponde Ricci, «da qui a giugno c’è tempo. Facciamo appello ai parlamentare del nostro partito, se si temono conseguenze negative dell’abrogazione della Severino l’unica via è modificarla. Ma facciamo appello anche a quelli che la vogliono abrogare: il quorum non arriverà, se non stanno prendendo in giro gli italiani, anche per loro l’unica via è modificarla in parlamento».

 

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