Bello e impossibile. Sembra ormai un miraggio il fronte unitario giallorosso di Pd e Movimento 5 stelle, dopo le durissime prese di posizione di Giuseppe Conte sull’inchiesta sulla presunta vendita di voti a Bari, e la decisione di spaccare definitivamente il campo giusto in Piemonte, dove ha lanciato come candidata per le regionali Sarah Disabato.

Ma, anche se appare tutto irrecuperabile, gli accordi segreti tra l’ex premier e l’ala dem più bendisposta nei suoi confronti prevedono una svolta dopo le europee. Sempre che Conte si riveli davvero un alleato affidabile.

Il patto

Il Pd che sembra aver perso la pazienza con il bizzoso alleato ha replicato ad ampio spettro alle accuse dell’ex premier, ma l’impressione è che sia a via di Campo marzio sia al Nazareno si guardi già al dopo-europee. In un’intervista a Repubblica Francesco Boccia, capogruppo dem al Senato e grande sostenitore del patto giallorosso, fa un accenno che non passa inosservato: «È più importante essere pronti a rappresentare un’alternativa che prendere lo 0,1 per cento in più. Temo però che fino al 9 giugno questo appello sarà poco ascoltato».

Tra le righe della risposta si può leggere il contenuto del patto che Conte ha proposto ai suoi interlocutori Pd, primo fra tutti l’ex ministro Dario Franceschini, grande sponsor anche della segretaria Elly Schlein. Fino alle elezioni europee, è il senso del ragionamento, liberi tutti. Anche con vittime collaterali, come le amministrative a Bari o le regionali in Basilicata e Piemonte, che a questo punto finirebbero a favore del centrodestra. Ma poi, a partire dal 10 giugno, Conte ha promesso alla controparte che le cose cambieranno.

Una volta superato lo scoglio del voto continentale con il sistema proporzionale che porta ciascuno a gareggiare per sé, insomma, via libera alla creazione di un fronte progressista unitario. Questa volta per davvero, senza le ambizioni personalistiche che lo hanno cannonato a giorni alterni in questi mesi.

In realtà nel frattempo Conte ha già alzato ulteriormente l’asticella delle sue richieste ai potenziali alleati, chiedendo di chiudere con i cosiddetti “cacicchi”, priorità che aveva menzionato anche Schlein all’inizio del suo mandato. In effetti, la moral suasion del Nazareno ha provocato le dimissioni immediate di Raffaele Gallo, candidato a giugno e figlio di quel Salvatore che è accusato di aver creato una rete di favore nel partito piemontese. Un intervento immediato «come d’altra parte le dimissioni dell’assessora, arrivate mezz’ora dopo la prima agenzia» spiegano dal Pd.

Certo, resta da vedere se della promessa di Conte c’è da fidarsi. Nell’ala riformista, in particolare, molti sono scettici e hanno vissuto con un certo sollievo la risposta a tono della segretaria a Conte dopo un periodo che hanno vissuto come una subalternità intollerabile. Ma per mettere in guardia la segretaria dalle intenzioni dell’ex premier basta mettere in fila la volatilità delle sue decisioni, che sono passate dal vento nuovo sardo alle accuse baresi.

Tutte le fortune

Il timore che si respira nel partito, insomma, è che Conte voglia avere la botte piena e la moglie ubriaca. Da un lato, tenersi le mani libere per attaccare il Pd ogni volta che vuole da qui a giugno, dall’altro, avere la certezza che il suo atteggiamento non abbia nessuna ripercussione sul rapporto di Schlein con il M5s. E magari, se tutto va come Conte spera, fare in modo che la distanza con il Pd si accorci, o addirittura si annulli. Puntando su quegli elettori felici di recuperare purezza e terzietà rispetto al sistema politico tradizionale e accettando di fare a meno di chi vorrebbe vedere uniti in un fronte unico i giallorossi. Al Nazareno resta invece, almeno per il momento, la disponibilità per un’alleanza.

«È quello che ci chiedono gli elettori - è il ragionamento della segretaria - uniti possiamo battere la destra». La convinzione è che con proposte pratiche come quella del salario minimo e quelle sulle nuove assunzioni nella sanità si possano stanare le debolezze della destra. Possibilmente con un alleato al fianco. «Ma se vogliono andare per conto loro, si prenderanno la responsabilità di aver rotto l’alleanza di fronte agli elettori» è la linea dei vertici di partito. E pazienza se qualcuno non ha fatto i conti con un Pd di nuovo combattivo. Per altro, resta da capire con quale risultato arriveranno al 10 giugno i dem. Se la scommessa di Conte andasse in porto e il Movimento si posizionasse alla pari o due-tre punti dietro al Pd, «difficilmente un presidente che ha annusato il sangue tornerà sui suoi passi», dicono nel partito.

A quel punto, è la previsione, Conte potrebbe provare a mettere la freccia per lasciarsi alle spalle i dem. L’unico scenario in cui al Nazareno si può guardare con una certa tranquillità è quello in cui la distanza che il Pd mette tra sé e il Movimento superi i 5-6 punti, è la valutazione che circola. Una possibilità piuttosto lontana, anche se nel partito indicano il trend positivo che ha portato i dem dal 13 al 20 per cento in poco più di un anno. «La sfida continua a essere con la destra», dicono, ma non è da escludere che Conte faccia mosse imprevedibili, «fosse anche solo per guadagnare lo 0,2-0,3 per cento». I conti si fanno il 10 giugno, ma puntare sul fatto che Conte mantenga fede alla sua promessa a questo punto sembra giocare con il fuoco.

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