L’ex capo politico del Movimento 5 Stelle e oggi ministro degli Esteri e leader di “Insieme per il futuro”, Luigi Di Maio, ha iniziato la sua opera di creazione del centro. In realtà, il cantiere sarebbe aperto da molte settimane, ma solo ora che la scissione parlamentare è completata il dialogo con gli interessati può avvenire alla luce del sole.

Eppure, i nomi che sarebbero attirati dal progetto dell’ex protetto di Beppe Grillo girano da tempo. Le linee sono semplici: creare un polo “centrista” – oggi piace molto l’aggettivo “draghiano”, a sottintendere che sia qualcosa in continuità con il percorso dell’attuale premier – che tenga insieme le migliori forze civiche, ovvero i sindaci più amati delle città che hanno mantenuto la loro distanza dai partiti e dalle questioni politiche nazionali sarebbero le figure più credibili per i cittadini elettori.

Due i profili di punta sono quelli del sindaco di Milano Beppe Sala, che dopo la rielezione al primo turno con una coalizione di centrosinistra guida la città che dovrebbe trainare la ripresa economica del paese, e il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, eletto con una coalizione di centrodestra e primo cittadino con il più alto gradimento d’Italia secondo il report del Sole24ore.

La strada, però, è ancora lunga: anche se entrambi si sono espressi in modo cauto in favore di Di Maio, hanno negato che un progetto comune sia in via di decollo e sottolineato le rispettive differenze. L’interrogativo, allora, è capire quali possano essere le basi condivise per due amministratori locali brillanti ma che difficilmente sarebbero colleghi naturali.

Le coalizioni a sostegno

Brugnaro è stato eletto ad un secondo mandato da sindaco sì come candidato civico, ma in suo sostegno si sono presentate compattamente Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia. Il suo vicesindaco è Andrea Tomaello, coordinatore provinciale della Lega.

Sala, invece, è stato rieletto con una coalizione composta da liste civiche, di cui una espressamente di sinistra (“La sinistra per Sala”), e dal Partito democratico, che esprime anche la vicesindaca Anna Scavuzzo. Lo stesso Sala ha detto di sentirsi «un uomo di sinistra».

In entrambi i casi si è trattato di candidature credibili per le rispettive città e, anche se sia Sala che Brugnaro rivendicano la loro autonomia da sigle nazionali, il sostegno proveniente da coalizioni opposte ha lasciato un segno anche nei programmi che i due stanno realizzando.

Diritti civili

Tra i segnali più evidenti, nel mese di giugno che è quello del Pride, è l’opposta collocazione dei due sindaci sul tema dei diritti civili. Beppe Sala ha fatto della sua vicinanza alla comunità Lgbtq+ uno dei simboli, anche mediatici, più utilizzati.

Milano da anni organizza uno tra i gay pride più importanti d’Italia, a cui anche quest’anno il comune ha dato il patrocinio, a differenza della regione Lombardia. In quest’occasione, Sala ha annunciato che il comune di Milano ha riattivato il riconoscimento dei figli nati in Italia da coppie omogenitoriali, anche in assenza di una legge.

Sui diritti civili, Brugnaro ha da sempre una linea opposta. Se si è detto favorevole alle unioni civili, sette anni fa ribadì che «a Venezia non ci sarà mai un gay pride» e così è stato fino ad oggi. Addirittura, nell’intervista a Repubblica definì il gay pride «una buffonata, il massimo del kitsch. Vadano a farla a Milano». Nel corso degli anni è incappato più volte in polemiche sul tema, la più nota nel 2016 in cui annunciò il ritiro dei volumi sull’omogenitorialità dalle scuole comunali.

Immigrazione

«A Milano, diciamo anche questa semplice verità, noi abbiamo il 20 per cento di immigrati. Ma apriamo gli occhi: noi con questa decrescita e denatalità che abbiamo, abbiamo bisogno di immigrazione», sono state le parole di Sala nel 2020.

Tra i sindaci, è tra quelli che si sono esposti con più forza contro i dl Sicurezza voluti dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. La cifra di Sala è stata quella di parlare di una Milano aperta e internazionale, che «significa anche accogliere chi scappa dal proprio Paese per fuggire alle guerre o decide di costruire qui un futuro migliore per sé e la propria famiglia».

Di segno opposto le posizioni di Brugnaro, che non aveva speso parole entusiastiche per le norme approvate dal Conte 1, ma a chi gli chiedeva di disobbedire come stavano facendo altri sindaci aveva risposto «Le leggi le rispettiamo e le applichiamo».

In tema di immigrazione, ha avuto un atteggiamento altalenante: da un lato è stato tra i sindaci che hanno subito accolto a casa alcuni profughi ucraini, nel 2019, però, diceva al Gazzettino di essere «per il blocco delle frontiere, ma le persone che sono arrivate non possiamo lasciarle a non far niente per mesi. Gli immigrati che sono arrivati in Italia nei modi più rocamboleschi dovrebbero lavorare qui per dieci ore al giorno. Ed essere pagati per otto» così da dimostrare la loro voglia di integrarsi.

Su altre questioni la visione si somiglia: in particolare sulla volontà di trasformare le rispettive città in modelli di sostenibilità, in direzione della transizione ecologica. I modelli, però, sono assai diversi per due città imparagonabili per estensione e collocazione.

L’interrogativo è se possa davvero essere Luigi Di Maio a fare incontrare al centro i due modelli diversi di società e politica che hanno in mente i due sindaci, così da far fare ad entrambi, insieme, il salto nella politica nazionale. Certo è che questo centrismo civico ancora non ha connotati chiari se non quello di aver intuito che i sindaci siano potenzialmente gli unici, oggi in Italia, ad avere una riconoscibilità e un elettorato proprio. La politica fuori dall’ombra dei campanili, però, è molto diversa.

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