Il leader della Lega, Matteo Salvini, ha riunito a Roma il consiglio federale della Lega, il secondo consiglio federale in due settimane.

Al termine della riunione è stata stilata una corposa lista di ministeri da chiedere a Giorgia Meloni per la composizione del prossimo governo. Un solo nome, però, è stato fatto: il suo. Salvini, infatti, intende insistere nella richiesta del Viminale e ha ricevuto pieno mandato da parte dell’assemblea.

Gli altri dicasteri richiesti sono Agricoltura, Infrastrutture, Affari regionali e Giustizia. Richieste importanti, soprattutto considerando il magro risultato elettorale della Lega. Quelli su cui si insiste di più sono Agricoltura e Affari regionali, che sono considerati ministeri chiave per le regioni del nord. 

Al termine, Salvini ha detto che «la priorità del prossimo governo è bloccare l’aumento delle bollette di luce e gas. Aiutare famiglie, commercianti e imprenditori per il caro energia è assoluta priorità nazionale», accanto a «sbloccare i cantieri fermi, la sicurezza, estendere la flat tax e azzerare una volta per tutte la legge Fornero e l’autonomia». 

Il ruolo di Giorgetti

Rispetto all’unanimismo complessivo, una voce ha spiccato più di tutte ed è stata quella del presidente del Veneto, Luca Zaia, che ha ribadito a Salvini che il ministero degli Affari regionali è «imprescindibile» per portare a termine il progetto dell’autonomia, ma ha anche aggiunto che sarebbe opportuno chiedere la conferma anche dei tre ministri uscenti, Erika Stefani, Massimo Garavaglia e Giancarlo Giorgetti. «Giusto riconfermarli», sono state le parole di Zaia. 

Dalle indiscrezioni dei giorni scorsi, il ministro uscente non era previsto nella rosa di Salvini, che puntava a sostituirlo con nomi considerati più fidati.

La richiesta di Zaia, pur se estesa a tutti gli uscenti, lo rimette invece in campo. Al termine del consiglio federale, Giorgetti ha detto che Salvini è «il candidato naturale al Viminale». Un endorsement chiaro, che suona come il primo passo per mantenere la propria posizione.

Foto Roberto Monaldo / LaPresse

La fronda interna

Intanto, dentro la Lega è nata una fronda interna guidata dal Senatur, Umberto Bossi, rientrato con il ricalcolo dei collegi alla Camera. Si tratta di una sorta di corrente interna dal nome evocativo di “Comitato Nord” e dovrebbe essere la valvola di sfogo di quella parte della Lega che vuole ritornare ai fondamentali del partito e in particolare concentrarsi sull’autonomia delle regioni. 

Con il fondatore ci sono anche l’ex ministro Roberto Castelli, attualmente semplice militante, e l’ex segretario Roberto Maroni, che dalle pagine del Foglio ha chiesto congresso e cambio di segreteria, lanciando il nome del governatore veneto, Luca Zaia.

04/05/2014, Pontida, raduno della Lega Nord. Nella foto Umberto Bossi

Angelo Ciocca e l’ex segretario della Lega lombarda, Paolo Grimoldi, si occuperanno dell’operatività del Comitato.

«Non è possibile che in un movimento autonomista tutte le decisioni vengano prese dal centro - ha detto Grimoldi al Corriere della Sera - C'è un problema reale di rappresentanza democratica e di rappresentatività dei territori. Non è una banalità. Di certo, se andiamo avanti così presto la Lega arriverà al 4 per cento».

Fonti interne al partito, tuttavia, hanno spiegato che quest’operazione sarebbe nata dentro lo scorso consiglio federale, con l’obiettivo di indirizzare il malcontento della base leghista, controllandolo. 

Spazio per un congresso non ce ne sarebbe e, anche se venisse convocato e Salvini lo perdesse, il neoeletto si troverebbe al vertice di un partito con il nome di Salvini nello statuto. «Il cambiamento non nascerà dentro la Lega attuale, ma fuori», viene spiegato. Per questo una data attenzionata è quella del 15 ottobre, quando i nordisti di Gianni Fava, che sfidò Salvini per la segreteria nel 2017, si incontreranno a Biassono per ragionare di una ripartenza dal Nord.

Il caso Lombardia

Parallelamente alle questioni interne al partito e alla necessità di mettere pressione a Meloni per ottenere una rappresentanza forte nel governo, non è ancora risolto il caso Lombardia. Il governatore uscente, Attilio Fontana, continua a ripetere di essere ricandidato ma il via libera ufficiale ancora non è arrivato e la settimana scorsa è deflagrato lo scontro con la sua vicepresidente, Letizia Moratti. 

L’ex sindaca di Milano è intenzionata a correre per la regione e sostiene che ci sia stata una promessa in questo senso da parte di Salvini e Berlusconi. Il fallimento elettorale della Lega in Lombardia, con appena il 14 per cento, avrebbe indotto il segretario a rimangiarsi la parola e a spingere per la ricandidature dell’uscente.

Tra Moratti e Fontana c’è stato un faccia a faccia e l’attuale presidente della regione ha minacciato di toglierle le deleghe – attualmente lei è vicepresidente e assessore al Welfare – ma la decisione definitiva verrà presa «dentro il centrodestra», ha detto venerdì.

Ora il problema della regione chiave della Lega è un elemento anche nel tavolo nazionale: Fratelli d’Italia ha doppiato la Lega anche in Lombardia e i suoi voti sono determinanti per eleggere il nuovo presidente e dunque anche per scegliere chi sarà.

L’ipotesi in cui spera Moratti è che per Fontana possa spuntare un ministero a Roma. Altro scenario, invece, è che l’ex ministro Giorgetti, lasciato fuori dalla squadra di governo, possa essere il terzo nome che mette la pace, non facendo perdere alla Lega la regione.

In ogni caso, Meloni dovrà riflettere anche su questo, dopo aver ricevuto la lista dei desiderata che emergerà dal consiglio federale.

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