Sul tavolo del governo sta per arrivare una bomba che investe il sistema sanitario nazionale. Il problema della carenza di medici è annoso e si trascina da anni, figlio di una sbagliata programmazione sui numeri sin dall’accesso all’università.

L’emergenza del Covid, però, lo ha reso insostenibile soprattutto nei reparti sensibili – il pronto soccorso e l’anestesia – dove le carenze hanno provocato una enorme difficoltà operativa, che tocca aziende sanitarie e ospedali dal nord al sud.

Le Asl sono alla disperata ricerca di medici e, per coprire i turni, stanziano budget da spendere nei cosiddetti medici “a gettone”, retribuiti per singolo turno o con contratti brevi di appena qualche mese. Questo ha generato un effetto paradosso: medici che si licenziano dal settore pubblico per venire riassunti - ricoprendo di fatto la stessa mansione - come liberi professionisti di cooperative private, perché per loro è più conveniente lavorare a gettone, con costi moltiplicati per l’azienda.

Il caos ha come causa il fatto che manchi personale sanitario, ma si è aggravato perché non esiste un quadro normativo certo.

Questa totale deregulation è arrivata davanti ad Anac, l’autorità nazionale anticorruzione. Allertata da diverse Asl, ha riscontrato che il fenomeno sta avvenendo in tutta Italia. Alla sua attenzione è finito il caso dell’azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria, che in agosto ha stanziato 628 mila euro per «forniture di somma urgenza di servizi medico-sanitari per poter acquisire personale medico indispensabile», con contratti di uno o due mesi.

I preventivi arrivati sono stati di prestazioni “a gettone”, con un importo medio orario per turni di servizio che vanno da 135 a 150 euro l’ora.

Lo stesso ha dovuto fare anche l’Ulss 2 Marca Trevigiana in Veneto, che per gli ospedali di Vittorio Veneto e Oderzo ha ingaggiato 96 servizi di guardia per anestesia, al costo di 1.392 euro per ogni turno di 12 ore. Anche a Jesi, nelle Marche, le cooperative private stanno permettendo la gestione dei turni di notte dell’ospedale Carlo Urbani.

Questi tre casi – ma ce ne sono molti altri in corso – mostrano come il bilancio delle sanità regionali sia a un passo dall’implosione e la causa è il far west giuridico: non esistono regole che indicano con quali limiti, entro quali prezzi e con che durata sia possibile utilizzare questa soluzione tampone.

Mancano le regole

Anac, che ha raccolto le segnalazioni, ha le mani legate. Non ha potuto dare indicazioni di alcun tipo alle aziende sanitarie, perché mancano provvedimenti ministeriali o leggi che disciplinino il fenomeno. Per questo l’Anticorruzione ha iniziato un pressing sul governo, inviando una lettera al ministero dell’Economia, al ministero della Salute e alla Conferenza delle regioni per fissare i criteri generali del settore - in particolare, la programmazione dei fabbisogni e congrui importi di gara – e mettendosi a disposizione per contribuire a un tavolo tecnico. 

«La problematica è di grande rilevanza sociale, oltre che di grande impatto economico sulla spesa pubblica», si legge nella lettera a firma del presidente Anac, Giuseppe Busia. «Sembra infatti che le aziende sanitarie siano indotte ad aggiudicare appalti e a corrispondere compensi particolarmente elevati per ciascun turno, anche prevedendo, come criterio di scelta del contraente, quello del prezzo più basso».

Tradotto: con il criterio economico del massimo risparmio e non quello della qualità del servizio, anche in un settore sensibile come la sanità. Non sono rari i casi, infatti, di medici che svolgono servizio per 36 ore di fila, come previsto dalle cooperative private. Con il risultato che le Asl sono costrette a pagare cifre fuori mercato per un servizio sanitario inadeguato e poco affidabile, con contratti che eludono qualsiasi norma di programmazione e reale concorrenza. 

Già in passato Anac ha individuato i prezzi di riferimento nell’ambito di servizi sanitari, ma solo a valle di un intervento regolatorio ministeriale. Se non arriverà presto, a previsione è che i bilanci delle regioni esplodano, con anche possibili commissariamenti.

L’allarme sulla insostenibilità del sistema e sulla necessità che la manovra investa nelle professioni sanitarie è arrivato qualche giorno fa anche dal presidente dell’ordine dei medici Filippo Anelli: «Di questo passo, il rischio che il sistema salti è molto concreto».

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