Nello scontro finale tra il fondatore del M5s, Beppe Grillo, e il suo rivale Giuseppe Conte il mondo che gira intorno al Movimento si sta posizionando intorno ai due contendenti. Per il momento in termini di numeri è in vantaggio Conte, anche se la scelta di Grillo di ricorrere a una squadra di mediatori per lavorare sullo statuto ha congelato la sfida. I sette designati hanno tempo fino a domani, al massimo martedì, per arrivare a un compromesso accettabile per entrambi.

Secondo un’indagine di YouTrend pubblicata venerdì pomeriggio, i deputati pronti a seguire Conte oscillano tra i 45 e i 60 su 161 totali, mentre i senatori disposti a fare il passo sono fra 40 e 50 su 75. Le collocazioni variano molto a seconda della categoria di iscritti che si va a considerare: tra gli esponenti locali, ad esempio, si delinea un certo vantaggio dei grillini rispetto ai contiani, mentre al Senato prevale il consenso per l’avvocato del popolo.

Figure di riferimento

Nell’universo Cinque stelle, oltre alle figure individuate dallo statuto – garante, capo politico reggente e tesoriere – conta anche l’opinione di figure storiche come il presidente di Rousseau Davide Casaleggio e il sociologo Domenico De Masi. Entrambi si sono schierati dalla parte di Grillo. De Masi, amico personale del comico, in un’intervista al Messaggero ha detto che «Conte sta sbagliando, perché è poco flessibile» , rimproverandogli il desiderio di non voler scendere a compromessi per esempio sulla gestione della comunicazione del Movimento.

Capo politico e tesoriere, Vito Crimi e Claudio Cominardi, si pongono ai due estremi dello scontro; il reggente al fianco dell’ex presidente del Consiglio, tanto da dichiarare di voler riconsiderare la sua permanenza nel Movimento dopo l’uscita di Grillo, mentre Cominardi, che è stato sottosegretario nel Conte I, non ha mai recuperato il rapporto con l’ex premier, che non l’ha voluto nel suo secondo esecutivo.

Membri del governo

Chi oggi ha un ruolo nel governo Draghi è orientato verso Conte. Stefano Patuanelli, ministro dell’Agricoltura, è tra i più vicini all’ex presidente e fa da raccordo con i gruppi di parlamentari pronti a riunirsi intorno al suo progetto politico. Al suo fianco c’è il viceministro ai Trasporti Giancarlo Cancelleri, molto critico nei giorni scorsi con Grillo e membro, insieme a Crimi e all’assessora del Lazio Roberta Lombardi, del comitato di garanzia, l’unico organo che può indire una votazione per sfiduciare il garante.

Con Conte anche Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il parlamento. Esperto conoscitore delle dinamiche di Camera e Senato, ha anche accumulato una certa esperienza di governo. Resta l’incognita su cosa farà Luigi Di Maio.

Ha assunto, già prima della nomina da parte di Grillo, il ruolo da mediatore grazie ai suoi buoni rapporti con entrambi i contendenti: impegnato nei giorni scorsi in diversi appuntamenti istituzionali, Conte l’ha interpellato giovedì sul suo silenzio, senza ottenere però una risposta netta. Ma Di Maio è un asset ingombrante quanto centrale per chiunque voglia attirare a sé la maggioranza dei votanti Cinque stelle: la sua influenza sui gruppi parlamentari e gli attivisti resta d’importanza primaria.

Considerando la distribuzione geografica del nuovo elettorato Cinque stelle il ministro degli Esteri ha un’influenza insostituibile sul cruciale voto al sud. Così come il presidente della Camera Roberto Fico, che, limitato dal suo ruolo istituzionale, anche in tempi non turbolenti come questo ha preso molto di rado posizione su questioni interne al partito.

In questo caso ha svolto anche lui il ruolo di mediatore, ma per il momento non si è ancora posizionato nello scontro. Molti fra quelli che seguono la vicenda da vicino dicono che sarà propio la collocazione della coppia Di Maio-Fico a fare la differenza in un senso o nell’altro nella disputa.

Ma ci sono altre caselle da tenere d’occhio. Per esempio quella del sottosegretario Carlo Sibilia, un tempo vicino a Di Maio, ma oggi più autonomo, a capo della corrente Italia 2050, nome che ricalca uno dei progetti lanciati da Conte, che raccoglie un piccolo gruppo di parlamentari. Uno sguardo va dato anche al posizionamento dell’ex sottosegretario alla presidenza Riccardo Fraccaro. Chi conosce bene entrambi suppone che alla fine possano schierarsi per Conte, ma per il momento le loro posizioni restano molto riservate.

Resta da vedere anche come si collocherà Dalila Nesci, sottosegretaria al Sud, vicina a Fico e alla guida della corrente Parole guerriere, che pure fino a questo momento non si è schierata. Stesso discorso per la dimaiana Laura Castelli, che, per il momento, è rimasta in silenzio.

Senato

Se alla Camera l’orientamento dei parlamentari è più etereogeneo, al Senato nei mesi si è creato un solido nucleo di contiani. Oltre al saldo legame con Patuanelli, i senatori sono raccolti intorno a Ettore Licheri, capogruppo che è stato tra i primi a esprimere solidarietà, poi estesa a tutto il direttivo del gruppo, nei confronti di Crimi dopo che Grillo gli aveva intimato di indire a stretto giro il voto sul comitato direttivo.

Contiani sono anche il suo predecessore Gianluca Perilli e Paola Taverna, senatrice di peso e vicepresidente del Senato, così come la collega Alessandra Maiorino.

Venerdì 19 senatori hanno firmato una nota per incoraggiare un’ulteriore mediazione tra Conte e Grillo. Tra i firmatari, Primo Di Nicola, membro della Commissione di vigilanza Rai, e Danilo Toninelli, che ha detto nei giorni scorsi che «la fiducia nei confronti di Conte da parte di Grillo sembra essere venuta meno. Grillo fa capire che potrebbe non essere la persona adatta e lo dobbiamo accettare. Ma questo non vuol dire che il Movimento è morto».

In controtendenza rispetto alla maggioranza dei colleghi anche Susy Matrisciano, che di fronte alla richiesta del voto di Grillo ha proposto anche di rivedere con un ulteriore voto la permanenza nel governo dopo che Draghi ha cancellato il cashback, creando un piccolo caso nella comunità grillina.

Camera

Diverso è il discorso a Montecitorio: alcuni dei nomi più noti, come gli ex ministri Alfonso Bonafede e Lucia Azzolina, si sono già schierati dalla parte di Conte.

Lo stesso ha fatto Riccardo Ricciardi, deputato in ascesa che ha messo gli occhi sulla carica di capogruppo. Insieme a Gilda Sportiello è tra i sostenitori più accaniti di Conte.

Dei contiani fanno parte anche Francesco D’Uva e Fancesco Silvestri, oltre alla deputata Vittoria Baldino, che in un lungo post sul suo profilo Facebook ha parlato di un «grandissimo errore» di Grillo, seduto «sul trono dell’altissimo».

Sulla sponda opposta si collocano la presidente della Commissione d’inchiesta sulle banche Carla Ruocco e anche l’attuale capogruppo: Davide Crippa non si è esposto e si è sobbarcato l’onere di assumere il ruolo di mediatore tra Conte e Grillo che gli ha conferito l’assemblea dei deputati, chiedendo ai due un incontro. Questo nonostante i suoi rapporti con Conte non siano idilliaci: i due non sono mai stati in sintonia, in più Crippa di recente si è rifiutato di firmare l’assunzione alla Camera di Rocco Casalino, che alla fine è stato collocato nell’ufficio comunicazione del Senato.

Che il gruppo si ponesse come elemento neutrale tra i due sfidanti è stata una richiesta avanzata dall’ex ministro Vincenzo Spadafora, che non ha risparmiato critiche agli atteggiamenti poco inclusivi dell’avvocato del popolo nei mesi di elaborazione del nuovo statuto.

Spadafora ha posto come obiettivo l’unità del Movimento: gli fa eco il presidente della Commissione Affari europei Sergio Battelli, che in un post Instagram scrive che «mediare è l’arte della politica e dobbiamo continuare a farlo fino all’ultimo. È difficile? Può darsi. È impossibile? No», ricordando però in chiusura che «la riconoscenza è un valore che nella vita come nella politica non può e non deve mancare mai».

È interessante osservare il comportamento dei deputati al primo mandato, negli ultimi mesi particolarmenti insoddisfatti dal rilancio, che oggi si dividono però quasi alla pari. Mentre il piemontese Luca Carabetta è dato più vicino a Conte, più scettici nei confronti di Conte altri membri del gruppo, come Carmen Di Lauro, Maria Pallini e Giovanni Currò, già da tempo entusiasti del limite ribadito da Grillo per i parlamentari al secondo mandato.

Resta alla finestra l’ex viceministro Stefano Buffagni. Potente deputato milanese, aspetta di vedere che succede per schierarsi, ma fonti parlamentari lo danno più vicino all’ex presidente.

Territori

La fenditura che si sta consumando in casa Cinque stelle influisce anche sulle posizioni degli amministratori locali eletti dal M5s. Quelli dei territori sono contesti in cui le collocazioni spesso sono orientate anche dalle prospettive delle alleanze del Movimento, soprattutto dove le elezioni sono più vicine.

Una grillina della prima ora come Roberta Lombardi, da poco entrata nella giunta di centrosinistra del Lazio sotto la guida di Nicola Zingaretti come assessora alla Transizione ecologica, si è schierata in maniera netta al fianco di Giuseppe Conte. È stata tra le prime a criticare aspramente i toni e il merito del messaggio del fondatore.

Contiana è anche la sindaca di Torino Chiara Appendino, che ha parlato di Conte come «la persona giusta» per il rilancio. Vicina a Di Maio, Appendino sta gestendo la partita per le amministrative nella sua città, dove nonostante i numerosi appelli non correrà di nuovo. Per lei si prevede un ruolo di rilievo nel nuovo Movimento, ma non sono ancora chiari i dettagli. Intanto, a Torino per il momento la trattativa è bloccata e il Movimento non appoggerà il Pd, pur non disponendo attualmente di un proprio candidato.

Molti iscritti della prima ora attivi sui territori, come Matteo Brambilla a Napoli e Antonella Laricchia in Puglia, invece, sono più vicini alla cerchia di Alessandro Di Battista. Un nutrito gruppo nei giorni scorsi ha addirittura diffidato il comitato di garanzia dal non «porre in essere quanto necessario per procedere agli adempimenti prodromici alle votazioni per consentire l’elezione dei componenti del Comitato direttivo tramite voto sul Rousseau, unica piattaforma abilitata». Tradotto: il Movimento è tenuto a seguire le indicazioni di Grillo.

Un discorso a parte va fatto per Virginia Raggi: la sindaca è considerata vicina a Di Battista, quindi al grillismo più ortodosso, ma nei giorni scorsi ha fatto una lunga telefonata con Conte. Più che le appartenenze, Raggi ha negli occhi la campagna elettorale, dove non può permettersi di sprecare consensi a causa dei litigi interni o addirittura che una delle due fazioni le tolga l’appoggio. Se dovesse raggiungere il ballottaggio, non potrà fare a meno di sperare nei voti del Pd, ma per ottenerli la sua unica carta è la mediazione di Conte, considerato un partner affidabile da Enrico Letta.

I fuoriusciti

La descrizione della posizione dei fuoriusciti è piuttosto univoca: in tanti guardano con un certo favore alla possibilità che il Movimento si spacchi. Di fronte alla necessità di Grillo di costruire un’alternativa credibile al partito di Conte, gli espulsi, molti grillini della prima ora, potranno contribuire con tutta l’ortodossia che li caratterizza (e che li ha fatti fuggire di fronte all’alleanza con Draghi).

Il senatore a capo della Commissione antimafia Nicola Morra si è già proposto come membro del comitato direttivo per cui si voterà a stretto giro, l’ex ministra Barbara Lezzi invece condivide sul suo profilo Facebook parola per parola l’intervento di Di Battista in cui l’ex parlamentare-reporter dichiara che, per riaverlo nel Movimento, i Cinque stelle devono prima dire addio al governo Draghi.

È proprio per l’appassionato di Che Guevara che questo momento può trasformarsi in un’occasione per un grande ritorno: se anche Di Maio dovesse decidere di sostenere Conte e lasciare il Movimento, Di Battista potrebbe essere il cavallo su cui puntare per Grillo, simbolo di un ritorno alle origini più integre di lotta al sistema e tradizionalmente rivoluzionarie.

Fa eccezione, tra gli ex, il senatore romano Emanuele Dessì, che approfittando del suo nuovo spazio di manovra lancia qualche frecciata al suo ex garante: «Mi auguro che a nessuno venga in mente di criticare Giuseppe Conte qualora decidesse di abbandonare il progetto a cui si stava dedicando».

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