Attualmente sembra improbabile che il centrosinistra possa vincere le elezioni, ma per il giorno successivo al voto c’è già una certezza: la convivenza difficile tra Partito democratico e i suoi alleati sul tema della geopolitica.

Fin dall’inizio del conflitto in Ucraina, il Pd è stato il primo partito a schierarsi al fianco della resistenza ucraina. Con il prolungarsi della guerra, i dem sono anche stati compatti sul sostegno alla fornitura delle armi a Kiev e negli ultimi mesi sono stati tra i principali difensori dei decreti armi che il governo Draghi ha prodotto.

Ma gli alleati rimasti al fianco del Pd dopo l’addio di Carlo Calenda hanno un’opinione molto diversa. È vero che il patto del Pd con Sinistra italiana e Verdi è soltanto di tipo elettorale (diversamente dal patto programmatico alla base del primo accordo con Calenda, poi saltato), ma già in campagna elettorale, e ancora di più dopo, gli alleati dovranno affrontare le loro differenze.

Cosa risponderanno i candidati di centrosinistra a chi chiederà loro che intenzioni hanno per il futuro del conflitto? Continueranno a votare a favore di altri invii di armi come ha fatto finora il Pd o si opporranno come ha già fatto Sinistra italiana in questa legislatura?

Le linee

Angelo Bonelli, leader dei Verdi, a luglio ha addirittura ritirato il simbolo a FacciamoEco, la componente di ex Leu ed ex M5s che si era formata durante la legislatura con ambizioni ecologiste. Diversamente da Bonelli, i parlamentari non volevano passare all’opposizione: tra le ragioni che avrebbero dovuto portare Europa verde a non sostenere più l’esecutivo c’era anche l’aumento delle spese militari italiane. La capogruppo Rossella Muroni, con cui si è consumata la rottura, in più occasioni aveva ribadito di essere favorevole a sostenere Kiev se necessario anche con le armi.

Nell’attuale coalizione di centrosinistra corrono le stesse faglie che c’erano già nel campo largo: anche il Movimento 5 stelle aveva espresso dubbi sull’aumento delle spese militari e si era mostrato scettico verso le forniture di armi italiane a Kiev, ma ora è fuori dall’alleanza.

I no in parlamento

Una delle ultime votazioni parlamentari prima della pausa estiva ha fornito un’anticipazione della diversità di opinioni nella coalizione: il segretario di Sinistra italiana, Nicola Fratoianni, è stato l’unico a votare contro la ratifica dell’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia. Si sono espressi contro gli invii di armi in Ucraina anche altri parlamentari di Leu. Come la senatrice Loredana De Petris: «Altre armi all’Ucraina? Non penso sia questa la strada. L’Europa con meno timidezza deve continuare nella strada diplomatica per il cessate il fuoco. Noi dobbiamo fermare l’escalation», ha detto il 15 marzo.

Sulla stessa linea anche Erasmo Palazzotto, oggi rientrato nel Pd: «La cessione di armamenti all’Ucraina rappresenta il primo gesto di una partecipazione militare del nostro paese al conflitto, una scelta che sì avviene in un contesto di unità europea, ma che non si può assumere a cuor leggero», ha detto pochi giorni dopo l’invasione di Vladimir Putin. Simili anche le parole che ha scelto Sandro Ruotolo, giornalista e senatore: «Guerraucraina Nessuno più pronuncia la parola pace. Anzi tira forte il vento dell’escalation militare. Dobbiamo sostenere l’Ucraina ma questo non vuol dire essere d’accordo con chi propugna la resa di Putin. L’Europa si faccia sentire: occorre lavorare per la pace, subito».

La contraddizione è stata colta anche da Calenda, che durante il suo divorzio dalla coalizione del centrosinistra ha sottolineato più volte l’incompatibilità delle posizioni di Fratoianni con quelle del resto del centrosinistra. Ulteriori difficoltà ad allineare le posizioni potrebbero arrivare in campagna elettorale dai nuovi volti che i tre partiti decideranno di presentare agli elettori.

Il problema si porrà soprattutto nei collegi uninominali: un elettore di Sinistra italiana potrebbe trovarsi di fronte un candidato come Carlo Cottarelli, presentato mercoledì da Pd e Più Europa, che su Twitter scrive: «Posso anche capire i pacifisti equidistanti, quelli che “anche l’occidente ha colpe”, quelli che “le armi prolungano la guerra” eccetera. Non sono d’accordo ma posso capire». Per votarlo, dovrà ingoiare un rospo.

Al contrario, non tutti gli elettori dem potrebbero voler appoggiare Elly Schlein, in odore di candidatura e ostile all’idea del riarmo. «Penso che la pace non si faccia mai con le armi», ha detto a fine marzo, pur concedendo che «non mi sento di demonizzare chi ha risposto a una precisa richiesta della resistenza ucraina».

I partiti stanno ancora riempiendo le liste, è presto per immaginare scenari. I due candidati annunciati mercoledì da Si e Verdi, però, non dovrebbero risultare indigesti a nessun elettore del Pd: Ilaria Cucchi non si è mai espressa sulla guerra in Ucraina, mentre il sindacalista Aboubakar Soumahoro è stato sì tra gli organizzatori della piazza di San Giovanni che a fine marzo manifestava per la pace, ma non ha mai preso esplicitamente posizione contro l’invio di armi.

© Riproduzione riservata