Il vicepremier rilancia le ipotesi di manomissioni sulla rete ferroviaria per ribaltare la realtà. Così la propaganda leghista ha instillato dubbi sui motivi dei disagi e dei ritardi degli ultimi mesi. Ora va in aula a riferire in parlamento
Ha rispolverato la verve da Bestia leghista di comunicazione per ribaltare – o quantomeno provarci – la narrazione sui disagi a bordo dei treni. Al bazar della propaganda politica, Matteo Salvini ha reperito la contronarrazione a buon mercato, utile sui ritardi dei treni, il flagello delle ultime settimane per il leader della Lega.
Ecco che ha denunciato la longa manus di presunti sabotatori. Non conta il fatto in sé, la reale attuazione dei sabotaggi: basta un dibattito che si apre sulla denuncia sulla realtà ipotetica. Benvenuti, appunto, nella post-verità salviniana.
Sabotaggio narrativo
Non che sia stato facile. Il vicepremier leghista ha impiegato un po’ di tempo per provare a reagire ai colpi mediatici incassati. Inizialmente ha perso la solita loquacità: le opposizioni hanno attaccato con una pressante richiesta di dimissioni nell’indifferenza degli alleati.
Forza Italia e Fratelli d’Italia lo hanno visto annaspare di fronte ai tabelloni dei ritardi dei vari viaggi che si accumulavano. Qualche difesa d’ufficio e tanto cinismo politico per lucrare sui problemi altrui.
Nel frattempo i post sui profili social salviniani sono stati orientati sui temi di sicurezza pubblica e di contrasto all’immigrazione, un riflesso condizionato del malcelato sogno di un suo ritorno al ministero dell’Interno. Peccato che sulla via del Viminale ci sia Matteo Piantedosi, suo sodale. Era il tentativo per dibattere d’altro. Solo che le cronache erano piene del livore dei passeggeri. Tema ineludibile.
Poi è arrivata l’intuizione, il colpo d’ala, da Bestia comunicativa della prima ora: la denuncia di eventuali atti di sabotaggio realizzati da estremisti. Persone teoricamente entrate in azione sui binari solo per danneggiare l’immagine del ministro dei Trasporti. E quindi del governo.
Un’idea che – alla fine – sta funzionando, quantomeno per alleviare l’assedio mediatico e politico degli ultimi giorni. Viene instillato il dubbio, il confronto va in altre direzioni: non si parla esclusivamente delle responsabilità dei ritardi.
L’esposto di Ferrovie dello Stato ha rappresentato la scintilla decisiva, quella che ha innescato la strategia. Non più i problemi sulla rete, i disagi causati dai cantieri del Pnrr per il rinnovamento delle infrastrutture o gli intoppi imprevedibili (come il pantografo di Milano che ha innescato una delle giornate più nere degli ultimi anni per i pendolari); ma operazioni dolose di nemici del popolo. O meglio: di hater del governo disposti a tutto, anche a causare disagi ai pendolari.
Da qui la campagna incessante sulle possibili azioni per rallentare o addirittura bloccare i convogli sui binari, rilanciando ogni possibile indiscrezione sui sabotaggi. Beneficiando dell’amplificazione di questo messaggio attraverso i propri canali social.
Addirittura, Salvini si è detto «pronto a riferire in parlamento», con la sorpresa delle opposizioni: chiedevano conto fin dall’inizio di un dibattito in aula sulla situazione delle ferrovie. Si farà a distanza di qualche giorno: il vicepremier è atteso oggi, martedì 21 gennaio alle 18.30, per le comunicazioni sui disagi nei trasporti e mercoledì 22 gennaio, alle 15.30, al Senato.
Fatti e vittimismo
Eccola, quindi, la post-verità: non si hanno notizie concrete di guasti provocati ad hoc da persone ostili al governo. Solo illazioni. La stessa holding di Fs ha chiesto un intervento della magistratura per avere delle garanzie che non ci fossero atti ostili.
Ma il ragionamento di Salvini assomiglia a una profezia che può autoavverarsi: dinanzi alla denuncia agitata sugli atti di sabotaggio di generici antagonisti, qualcuno – magari – potrebbe davvero pensare di compiere atti sabotatori per fare dispetto al ministro.
Lo si dice per farlo accadere anche una volta sola. Sarebbe più che sufficiente al vicepremier leghista per dare fiato alle trombe dello storytelling vittimista. Molto più vincente rispetto alla prima reazione, quello di scaricare le responsabilità sui predecessori che – secondo la sua versione – non avrebbero posto la giusta attenzione sullo stato delle infrastrutture ferroviarie.
A Salvini è arrivato un sostegno dal suo partito. «Sarebbe grave se ci fossero stati dei sabotaggi», ha detto il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, durante un intervento pubblico.
La “strategia del sabotatore” non è tuttavia esente da rischi. Sui social si sprecano le ironie sulla caccia al responsabile dei treni in ritardo, con tanto di spauracchio della pista anarchica.
Matteo Renzi ha colto l’occasione per tornare all’attacco del ministro dei Trasporti: «Se Salvini vuole sapere chi è responsabile del sabotaggio non cerchi fantasmi, si faccia un selfie». Da qui il rilancio della petizione per chiedere le dimissioni dal governo del leader della Lega. Sulla decisione del vicepremier di riferire in aula, il leader di Italia viva ha incalzato: «Speriamo venga in aereo, altrimenti chissà a che ora iniziamo».
Battute perfide, ma che non hanno scalfito la nuova linea di Salvini: rifugiarsi nell’eterna battaglia contro “gli anti italiani”, come ha in parte già fatto in materia di sciopero.
A furia di martellare le azioni di protesta dei sindacati ha alimentato un dibattito sul diritto allo sciopero. Finendo per oscurare i numeri reali, che dimostrano come il numero di agitazioni con il governo Meloni non sono superiori rispetto a quando c’erano altri esecutivi. La verità superata dalla propaganda.
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