La Giunta per le immunità del Senato ha deciso positivamente sul conflitto di attribuzione sollevato dalla ministra del Turismo Daniela Santanchè. Le chat e le mail della meloniana, dunque, potrebbero non venire utilizzate nell’ambito del processo sulla presunta truffa all’Inps. Secondo i legali di Santanchè, infatti, nel corso dell’indagine che la coinvolge quel materiale non poteva essere usato. La tesi è che serviva prima l’autorizzazione del parlamento, come previsto dalla Costituzione.

La decisione di oggi della Giunta rischia, dunque, di allungare, ancora una volta, i tempi di arrivo all’udienza preliminare definitiva, quella in cui la senatrice potrebbe rischiare il rinvio a giudizio. La palla, infatti, passa ora in mano alla Camera d’appartenenza, quindi al Senato.

La prossima udienza è comunque fissata al 17 ottobre prossimo ed è previsto che la gup di Milano Tiziana Gueli interroghi la ministra. La vicenda è quella della presunta truffa ai danni dell’istituto di previdenza da parte delle società del gruppo Visibilia: 126 mila euro versati a tredici dipendenti che lavoravano lo stesso nonostante figurassero in cassa integrazione a zero ore. 

Non l’unica grana giudiziaria della fedelissima di Meloni, già a processo nella città meneghina per le false comunicazioni sociali sui bilanci delle società del gruppo editoriale Visibilia, nonché imputata a Roma per diffamazione contro l’ex socio Giuseppe Zeno. 

La proposta di aprire il conflitto di attribuzione davanti alla Consulta è stata approvata a maggioranza. Voto contrario quello, tra gli altri, della senatrice Ilaria Cucchi che in un passaggio di una relazione che ha presentato ai colleghi specifica: «Diverso è il caso in cui un privato, partecipe di una conversazione con un parlamentare, decida autonomamente di registrarla e successivamente la consegni all’autorità giudiziaria. In tal caso, non si è in presenza di un'intercettazione e, conseguentemente, non opera la tutela prevista dall’articolo 68. 

Ne deriva che, se la registrazione è spontaneamente prodotta dal privato e acquisita dal pubblico ministero, essa non costituisce una intercettazione – neppure illegittima – bensì un documento probatorio, ancorché atipico. L’eventuale utilizzo di tale registrazione in sede processuale, pertanto, non necessita dell’autorizzazione parlamentare.

La conseguenza è che il parlamentare, in un caso del genere, non gode di alcuna tutela ulteriore rispetto a quella di ogni altro cittadino».

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