Ci voleva uno storico come il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara per resuscitare il dimenticato Giorno della libertà, la festa istituita per legge dal secondo governo Berlusconi per commemorare la caduta del Muro di Berlino.

In occasione di questa ricorrenza oggi caduta nell’oblio Valditara ha inviato una lettera a migliaia di scuole e un messaggio sugli smartphone di decine di migliaia di insegnanti in cui li invita a «riflettere e a discutere» non solo sulla caduta del muro, ma in particolare sul comunismo. Valditara concede che è stato un fenomeno tra «i grandi protagonisti del ventesimo secolo», che ha assunto «forme anche profondamente differenti» e che sarebbe «un grave errore intellettuale» minimizzarne «o banalizzarne l’immenso impatto storico». Salvo poi precisare che la sua «realizzazione concreta comporta ovunque annientamento delle libertà individuali, persecuzioni, povertà, morte».

Le critiche

Dai sindacati degli insegnanti all’Anpi, Valditara è stato sommerso di critiche. Il nocciolo del problema: non c’è dubbio che gli studenti italiani debbano riflettere e discutere sul comunismo, magari senza «banalizzarlo» rendendolo sinonimo di stalinismo. Valditara dimentica che il comunismo è stata un’ideologia centrale per la storia del nostro paese, che ha animato una delle forze più importanti della resistenza, che ha contribuito alla scrittura della Costituzione e che ha costituito per mezzo secolo la seconda forza politica del paese.

Altrettanto, i critici ricordano che, oltre che sul comunismo, gli studenti italiani dovrebbero discutere e riflettere anche su molto altro. Il fascismo, che a differenza del comunismo è un genuino prodotto italiano, il colonialismo, di cui siamo stati tardi ma ugualmente brutali protagonisti e di cui nelle classi italiani si è a malapena parlato negli ultimi settant’anni.

Valditara si dice «sbigottito dalle polemiche strumentali», ma non spiega come mai non ha scritto lettere né chiesto agli studenti di riflettere quando un paio di settimane fa è caduto un altro anniversario, molto più saliente per la nostra storia nazionale rispetto alla caduta del muro di Berlino: il centenario della Marcia su Roma, iniziata il 28 ottobre del 1922.

Intellettuale da sempre vicino alla Lega e ad An, Valditara, anche da ministro, fa un uso selettivo della storia. Come quando tra le centinaia di possibili interpretazioni della caduta dell’Impero romano ha scelto per i suoi libri la più politicamente connotata e meno storicamente fondata: quella di Roma distrutta dagli immigrati. 

Una festa dimenticata

Il Giorno della libertà è una festa controversa per costituzione. Nemmeno in Germania viene festeggiato il 9 novembre, una data densa di così tanti anniversari che non è sembrato a nessuno il caso di commemorarla. Non a caso i tedeschi chiamano il 9 novembre Schicksalstag, “il giorno del destino”. Oltre al muro di Berlino, in questa data è finita la prima rivoluzione tedesca (1848), è iniziata la seconda (1918), Hitler ha tentato il suo primo colpo di stato (1923) e con la Notte dei cristalli (1938) ha dato inizio alle brutali persecuzioni degli ebrei. 

«Io sono amico dello Stato ebraico», ha risposto ieri agli attacchi Valditara, accusando i suoi critici di essere «amici di Hamas». Ma il fatto resta: il ministro si è dimenticato dell’evento che simboleggia l’inizio della Shoah, preferendogli una festa introdotta negli Stati Uniti da George W. Bush nel 2001 e ripresa quattro anni dopo dal suo amico Berlusconi. Una celebrazione che bisogna spulciare gli archivi di giornali e agenzie per vedere commemorata – caso curioso, una delle pochissime a ricordarla è stata l’allora presidente Camera Laura Boldrini nel 2016.

Volendo restare in casa, Valditara avrebbe potuto scegliere anche un’altra ricorrenza. Il 9 novembre del 1926 è il giorno in cui la Camera ormai fascistizzata proclama la decadenza dei parlamentari che si era ritirati sull’Aventino, sancendo il definitivo arrivo della più brutale dittatura che il nostro paese abbia mai visto. 

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