«Noi ci facciamo carico a dare un diritto di tribuna alle diverse anime degli alleati, ma questa nostra responsabilità non va dileggiata. Non ne condividiamo tutto il programma» ma al voto servirà «una presenza corale» per battere la destra, dunque «non bisogna essere escludenti ma inclusivi». Enrico Letta parla in diretta Facebook alla fine della riunione con i sindaci dem, rilancia l’appello che la segreteria del Pd ha appena inviato a Carlo Calenda e ai suoi. Il tono è preoccupatissimo.

Nella prima riunione ci sono anche i ministri, il segretario si è sfogato: «L’accordo lo vedo sempre più lontano, noi facciamo di tutto, ma è lui che vuole stare fuori dall’alleanza». Secondo Youtrend per i «centristi» la coalizione col Pd è preferibile: Azione e +Europa sono stimati al 4,4 per cento con Pd e al 3,3 da soli. I sondaggi che ha Calenda dicono l’opposto: i centristi da soli perderebbero i seggi dell’uninominale (li perderebbe anche il Pd, a valanga, secondo la società Cattaneo Zanetto almeno 16) ma al proporzionale attirerebbero molti voti di centrodestra. Se Calenda rompe deve mettere in conto il tiro a segno mediatico contro chi consegna il paese alle destre.

Letta, ai sindaci, dice di non capire che è successo al leader di Azione: «Ci siamo visti tre giorni fa, eravamo d’accordo su una strada. Due giorni dopo tutto viene rimesso in discussione».

Versioni opposte

Secondo la versione di Letta giovedì alla sede dell’Arel Calenda ha detto sì anche a presentare all’uninominale quelli che ora rifiuta: i rossoverdi Fratoianni e Bonelli e l’ex M5s Luigi Di Maio. In cambio Letta si è impegnato a far digerire ai suoi e agli alleati anche personalità considerate invotabili a sinistra, in primis la ministra forzista Maria Stella Gelmini,  firmataria di una indigesta e indimenticabile riforma della scuola, ma anche la collega Mara Carfagna. Ora l’appello del Pd è «a tutte le forze politiche» del campo democratico, tranne i Cinque stelle: «La posta in palio è altissima, per i destini del nostro Paese e dell’Europa», «si proceda senza veti reciproci», «Ogni divisione rappresenterebbe un regalo alla destra».

Calenda nega che ci sia stato accordo. Ma lì per lì gli replica subito: «Sei troppo intelligente per considerare questo appello una risposta. Vediamoci martedì con +Europa e chiudiamo in un senso o nell’altro».

Circola la notizia del pressing Pd su Emma Bonino per rompere con Calenda. Il quale non ci sta a fare la parte di quello che cambia idea: «I patti sono chiarissimi», insiste, «No Bonelli, Fratoianni che sono contro Draghi negli uninominali, no Di Maio negli uninominali».

Poi i temi: «agenda Draghi, non tasse e bonus. Risposte nette su rigassificatori e modifica del reddito di cittadinanza. Queste cose le hai sul tavolo da giorni. Legittimo dire “non riesco” ma chiudiamo questa partita».

lunedì fra i due c’è stata una telefonata, breve e tesa. L’incontro definitivo dovrebbe avvenire martedì. Per capire chi rompe con chi. Perché in politica chi rompe paga: e Calenda non vuole intestarsi la rottura.

Domenica sera ha scritto una lettera aperta al segretario Pd con le “sue” condizioni per il sì. Che però sembrano un modo per farsi dire no: prima, «Non un voto di +Europa e Azione può andare a persone che non hanno votato la fiducia a Draghi», il problema si potrebbe non porre per i rossoverdi abbastanza sicuri di passare lo sbarramento del 3 per cento. Ma si pone per esempio per il ministro degli Esteri Di Maio, che con Centro democratico ha lanciato la lista Impegno civico che vede lo sbarramento come un miraggio ed ha bisogno di un paracadute. La seconda condizione è altrettanto capestro: per Calenda «una cosa è avere programmi diversi, altra è non avere alcuna omogeneità».

L’esempio è il contestato rigassificatore di Piombino: i rossoverdi sono contrari ma anche nel Pd non c’è entusiasmo sull’opera. Ai “paletti” dal Pd non arriva un no ma una palla rilanciata nell’altro campo. «Ci provo fino in fondo», dice Letta ai suoi, «con spirito ecumenico e tanta tanta pazienza».

© Riproduzione riservata