Nella strage persero la vita anche cinque agenti della scorta del magistrato. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Segno indelebile nella storia italiana»
Palermo torna a stringersi intorno alla memoria di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della sua scorta uccisi nella strage di via D’Amelio il 19 luglio 1992. Trentatré anni dopo, la città ricorda non solo il giudice, ma anche Emanuela Loi, prima donna poliziotto a far parte di una squadra di scorta, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico sopravvissuto fu l’agente Antonino Vullo.
Nella notte, una veglia degli scout ha restituito vita a quella piazza trasformata dal tritolo mafioso in un simbolo di morte, ma oggi cuore di iniziative civiche. Le commemorazioni ufficiali hanno visto la presenza del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, del procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo e della presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato come quella strage rappresenti «un segno indelebile nella storia italiana». La premier Giorgia Meloni ha ricordato la strage con un post sui social: «l’esempio di Borsellino vive in chi lotta per un’Italia più giusta».
Ma a distanza di oltre tre decenni, la verità resta ancora incompleta. Le procure continuano a indagare sui misteri e sui depistaggi che hanno oscurato le responsabilità dietro le stragi del ’92. La procura di Caltanissetta ha riaperto capitoli che si credevano chiusi, indagando poliziotti e magistrati di allora e perquisendo l’abitazione dei familiari dell’ex procuratore Gianni Tinebra, alla ricerca dell’agenda rossa di Borsellino, mai ritrovata.
«C’è ancora un debito di verità verso la famiglia Borsellino e verso il Paese», ha ribadito Melillo. Parole rilanciate anche dal figlio del magistrato, Manfredi Borsellino, che ha denunciato i tradimenti subiti dal padre da parte di chi avrebbe dovuto proteggerlo.
Chiara Colosimo ha assicurato che l’Antimafia farà la sua parte per scrivere «una verità storica», mentre l’ex premier Giuseppe Conte ha puntato il dito contro le «frasi di circostanza» del governo, rivendicando l’impegno a non lasciare che si riscriva una storia di comodo sulle stragi di mafia.
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