«Il garantismo è giusto, il giustizialismo è sbagliato. Il garantismo sta alla giustizia come la democrazia sta alla dittatura», dice Matteo Renzi nel suo intervento alla Leopolda. Lo fa parlando sì di giustizia ma soprattutto raccontando la sua versione dell’indagine sulla fondazione Open che lo vede coinvolto. Due ore di intervento con un solo colpevole: i magistrati.

Dopotutto Renzi di dittature se ne intende, visto che ama particolarmente l’Arabia Saudita, un paese dove la giustizia si esercita con la pena di morte, i processi iniqui, la violenza verso donne e omosessuali, e le detenzioni illegali.

Alla Leopolda il leader di Italia viva invita sul palco i suoi difensori. Il primo a parlare è Enrico Costa di Azione, il partito di Carlo Calenda. «Come faremo ad andare contro alle elezioni», dice l’ex premier assecondando la lettura di chi lo vede ormai proiettato verso il grande centro.

«La vera sentenza è la conferenza stampa dei magistrati, il titolo del giornale che si diffonde in rete. La sentenza vera arriverà dopo anni quando non interesserà più niente a nessuno», dice Costa. Renzi applaude.

Dopo Costa, tocca all’avvocatessa Annamaria Bernardini De Pace che rincara la dose: «La magistratura è politicizzata, i magistrati sono deresponsabilizzati. I magistrati inquirenti e giudicanti sono troppo a stretto contatto, nello stesso corridoio. Non c’è efficienza, non ci sono controlli neppure sulla stabilità psichica dei magistrati. E poi la pubblicazione vergognosa delle intercettazioni». Giù applausi.

Il terzo ospite, nel talk dedicato alla giustizia, è un altro avvocato: Gian Domenico Caiazza, presidente delle Camere penali. «Oggi discutiamo di una riforma come quella Cartabia che ci piace per molti aspetti e ci convince meno per altri, abbiamo sentito dalla ministra richiamare i valori costituzionali. Ma vediamo ritardi gravi ad affrontare le questioni della giustizia penale. Bisogna riequilibrare i poteri dello stato. Uno dei tre poteri dello stato ha esondato dai propri limiti costituzionali, quello giudiziario condiziona e determina la vita politica», dice.

di Nello Trocchia e Carmen Baffi

Un solo colpevole

I mali della giustizia vengono sviscerati, ma alla fine sul banco degli imputati finiscono solo i magistrati. Tocca, collegato da casa, al professore Sabino Cassese, «una delle figure più autorevoli del nostro paese», dice Renzi.

Il professore si affida ai numeri: «C’è un arretrato di 6 milioni di procedure, la fiducia della popolazione italiana nella giustizia si è quasi dimezzata negli ultimi dieci anni. La prima conclusione da trarre è che c’è una crescente domanda di giustizia non soddisfatta» prima di aggiungere «l’indipendenza della magistratura è diventata autogoverno, uno stato nello stato, si è verificata una politicizzazione endogena dell’ordine giudiziario».

Un minuto di applausi saluta l’intervento del professore. Dopo tre avvocati e un professore arriva il turno di un magistrato, l’ex procuratore di Venezia Carlo Nordio, di recente firmatario dei referendum sulla giustizia promossi dalla Lega di Matteo Salvini. La musica non cambia. Carlo Nordio inizia citando Platone «meglio avere una legge pessima e un giudice ottimo piuttosto che il contrario» poi anticipa il tema della serata.

«Renzi si è trovato 90mila pagine depositate nella perfetta legalità, il pubblico ministero ha questo potere, è insindacabile. La corte di Assise di Palermo ha sgretolato l’inchiesta della trattativa stato-mafia smentendo l’impostazione accusatoria di Nino Di Matteo. Oggi Di Matteo siede nel Csm e potrebbe giudicare i giudici che gli hanno dato torto quando era pm. Una situazione demenziale», dice Nordio.

Gli avvocati e l’ex magistrato anticipano il momento chiave della serata: la difesa di Renzi sul caso Open.

La controffensiva

L’ex presidente del Consiglio inizia a parlare di finanziamento illecito ai partiti. Secondo la procura di Firenze, la fondazione Open è stata utilizzata come articolazione di partito per sostenere l’ascesa di Renzi e della corrente renziana all’interno del Partito democratico.

L’ipotesi dei magistrati è che aziende e imprenditori vari abbiano versato circa 3,5 milioni di euro tra il 2014 e il 2018 in violazione della legge. Renzi ribadisce che «quei soldi non sono soltanto tracciati, ma anche bonificati. Il tema del contendere non è il finanziamento illecito, ma la seconda parte, quella relativa alla politica».

E su questo pone un quesito: «Chi decide cosa è politica e cosa non lo è? In democrazia lo decide il parlamento, se lo decide il magistrato penale la libertà e la democrazia è a rischio». Poi inizia a mettere in fila quelli che hanno osato criticarlo. Inizia da Pier Luigi Bersani che lo ha battuto alle primarie nel 2013. Quando lo nomina parte anche qualche fischio. «Bersani ha detto “Renzi voleva tagliare le radici della sinistra storica e sindacale”. Sì, volevo farlo. La sinistra ha distrutto e brindato per il no al referendum. Sull’etica non prendo lezioni, io vorrei ricordare che Bersani ha ricevuto 98mila euro dai Riva (gli ex padroni dell’Ilva di Taranto, ndr)».

Poi ne ha anche per il nemico storico Massimo D’Alema, il primo rottamato, che «ha distrutto Mps». Renzi continua la sua invettiva e attacca le modalità dell’inchiesta con la perquisizione alle 6 del mattino ai danni di alcuni finanziatori della fondazione Open.

«Hanno sbagliato Matteo, bisogna prendere Messina Denaro. Per l’ultimo blitz alla ricerca del latitante hanno utilizzato 150 finanzieri, per acquisire i documenti nell’indagine di Open 300». Cita sms e messaggi senza rilievo penale, alcuni personali con Marco Carrai e attacca: «Si devono vergognare». Poi ricorda che uno dei due pubblici ministeri, titolare dell’indagine su Open, è quello che ha indagato anche sui genitori e sul cognato. Ne ha per il Csm («se le nomine dei procuratori le facessero i politici riceveremmo un avviso di garanzia al giorno per traffico d’influenze») e per Luigi Di Maio («lo ha scoperto dalle carte che volevamo distruggere politicamente il M5s? La verità è che non ci siamo riusciti, ma lo stanno facendo autonomamente»).

Le email del giornalista Fabrizio Rondolino per costruire una struttura di propaganda antigrillina? «Noi non abbiamo costruito una macchina del fango, ma l’abbiamo subita. Siamo stati vittime della disinformazione sociale». Quindi annuncia che parteciperà a tutte le udienze dell’eventuale processo per rendere dichiarazioni spontanee.

Il comizio si conclude tra gli applausi e ovviamente non c’è spazio per le domande. Nel 2018 Renzi diceva che la politica non si fa per fare soldi, che per fare soldi bisogna prendere contratti milionari mostrando il suo conto corrente con appena 15mila euro perché «sulla trasparenza non faccio sconti a nessuno».

Chissà se è lo stesso Renzi che ha ricevuto finanziamenti legali dai sauditi, da società di consulenze e che ha fatto irritare gli amici di sempre quando ha pagato un aereo 130mila euro con i soldi di Open. Lo aspettiamo all’esterno della Leopolda, ma il senatore scappa allo stadio. C’è la Fiorentina, per l’indagine Open basta il monologo.

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