Aumenta il numero di vittime causate dai gruppi militanti islamisti in Africa. In un rapporto pubblicato da African Center for Strategic Studies (Acss) risulta che nel periodo che va da luglio 2022 a luglio 2023 si è verificato un incremento del 48 per cento rispetto ai dodici mesi precedenti, con un numero di morti pari a 22.288 rispetto ai 15.024 dell’anno prima.
L’allarmante trend conferma un costante aumento (le vittime sono circa due volte e mezzo superiori a un decennio fa) e fa registrare il tragico sorpasso del record di 20.562 morti stabilito nel 2015, principalmente a causa della spaventosa e rapida diffusione delle operazioni targate Boko Haram in Nigeria e Camerun.

La classifica

A guidare la triste classifica, staccando di molto il resto di paesi e aree, sono Somalia e fascia saheliana.  L’80 per cento degli eventi violenti che comportano morti si verificano in queste due regioni con la Somalia che ha visto aumentare del 157 per cento il numero di decessi annuali legati ai militanti islamici e il Sahel del 39.
Burkina Faso e Mali sono i due paesi maggiormente coinvolti dalle violenze perpetrate da gruppi fondamentalisti islamici armati: l’87 per cento degli eventi nel Sahel avviene dentro i loro confini. Nel complesso, quindi, Burkina Faso e Somalia sono il principale traino dell’aumento clamoroso che controbilancia le notizie positive in arrivo da nord Africa e Mozambico dove l’incremento è stato ‘solo’ del 4 per cento.

Secondo il rapporto, la metà circa di questa crescita è avvenuta negli ultimi tre anni nel periodo, cioè, in cui, proprio nel Sahel, si è verificata una serie significativa di golpe (Mali, Ciad; Burkina Faso e Niger). In vari casi, i motivi alla base dei colpi di stato, erano l’insoddisfazione della popolazione, di cui si sono fatti portavoce i vertici militari, proprio riguardo la gestione della sicurezza affidata, fino a un anno e mezzo fa, alla Francia e a forze occidentali con l’operazione Barkhane. Ma al fallimento assoluto di quasi un decennio di presenza militare, coinciso con una penetrazione maggiore e più capillare dei jihadisti (che ha portato dopo i golpe a una vera e propria cacciata delle forze francesi ed europee) non ha fatto seguito un miglioramento della situazione: l’aumento di vittime ed episodi terroristici è lì a testimoniarlo.

Il caso del Niger

Un discorso a parte va fatto per il Niger. Fino a luglio scorso, mese in cui si ferma la rilevazione, rappresentava l’8 per cento del numero totale di eventi violenti nel Sahel nell’ultimo anno e aveva fatto registrare una diminuzione del 54 per cento delle vittime. Nel frattempo, però, proprio alla fine di luglio, in Niger si è verificato l’ennesimo colpo di stato africano e, a quanto risulta da questi primi mesi, la violenza jihadista è in ripresa. Bisognerà capire se si tratti di un tentativo temporaneo di riprendere vigore approfittando del vacuum politico immediatamente successivo al golpe, o di qualcosa di più significativo.

Il mese scorso, nel frattempo, i leader militari di Mali, Burkina Faso e Niger hanno firmato un patto di sicurezza in cui si impegnano ad aiutarsi reciprocamente per combattere i militanti o qualsiasi aggressione esterna.

Purtroppo la violenza jihadista allunga i suoi tentacoli anche in paesi fino a poco tempo fa sostanzialmente risparmiati. Il Benin e il Togo fanno registrare un drammatico aumento degli eventi violenti nell’ultimo anno (da 16 a 131 in Benin e da 3 a 22 in Togo).

Una galassia variegata

La galassia islamica in Africa, molto composita e variegata, a volte in conflitto al proprio interno, annovera tra i gruppi più attivi al Shabaab, branca di al Qaida per l’Africa orientale, che opera principalmente in Somalia. La formazione ha celebrato le operazioni di Hamas in Israele collocandole nel contesto della jihad globale: «questa battaglia contro gli ebrei criminali», si legge in un comunicato, «non è solo delle fazioni islamiche nella terra di Palestina, ma la lotta dell’intera Ummah musulmana». Nel Bacino del Lago Ciad (Nigeria, Camerun, Niger e Ciad) gli eventi segnalati sono in gran parte attribuiti alla recrudescenza di Boko Haram. In Mozambico è attiva la cellula Ahlu Sunnah wa Jama’a (Aswj). Le sue azioni hanno subìto, fortunatamente, un significativo rallentamento, come riporta Acss, dall’arrivo nel luglio 2021delle forze di sicurezza della Comunità per lo Sviluppo dell’Africa Meridionale (Sadc) e del Ruanda.

In un panorama piuttosto desolante, spiccano come molto buone le notizie che giungono dal nord Africa. L’attività dei militanti islamici e le relative vittime nel Maghreb sono diminuite di oltre il 75 per cento nell’ultimo anno.
La regione, quindi, contribuisce ora solo all’1 per cento dell’attività terroristica di matrice islamiche complessiva in Africa e a meno dell’1 per cento delle relative vittime. La repressione dei governi e la progressiva mancanza di sostegno da parte della popolazione civile, secondo Acss, sarebbero alla base del drastico calo in tutti i paesi dell’area, anche in Tunisia, che negli anni scorsi aveva visto il gruppo più numeroso di propri cittadini partire per combattere per l’Isis in Iraq e Siria.

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