A quattro giorni dallo scambio di ostaggi e prigionieri tra Hamas e Israele, proseguono i ritardi per la riapertura del valico di Rafah, la porta d’ingresso per Gaza che confina con l’Egitto. Si tratta di uno dei valichi più importanti dato che in Egitto sono accantonate migliaia di tonnellate di aiuti umanitari nei magazzini della Croce Rossa egiziana.

L’intelligenze de Il Cairo ha fatto sapere che è tutto pronto per l’apertura del valico, ma le autorità israeliane hanno ribadito che per il momento la riapertura del valico verrà annunciata nei prossimi giorni e non è previsto ancora il transito delle merci, bensì servirà per evacuare i civili feriti. Ma la situazione umanitaria nella Striscia è ancora drammatica, come conferma Jonathan Flower uno dei portavoce dell’Agenzia Onu per i rifugiati palestinesi Unrwa.

Quali sono le difficoltà che incontrate oggi come Unrwa?

Il problema principale è che l’Unrwa non è ancora autorizzata dalle autorità israeliane a far entrare aiuti nella Striscia di Gaza. Dall’inizio di marzo non possiamo portare forniture umanitarie. Nonostante questo, continuiamo a lavorare sul terreno con il nostro personale che è nella Striscia. Forniamo cure mediche primarie, acqua potabile, servizi igienici e rimozione dei rifiuti. Il nostro personale — circa 12.000 persone — non ha mai smesso di operare, ma non può distribuire nuovi aiuti perché non ce ne sono abbastanza che entrano. Stiamo lavorando per mantenere in funzione i servizi essenziali, per riabilitare punti medici e strutture di base, e per essere pronti a distribuire gli aiuti non appena potranno entrare. Nessun’altra agenzia ha la nostra rete logistica o il radicamento nelle comunità locali.

Quali sono oggi le necessità più urgenti per la popolazione di Gaza?

Tutto è urgente, ma ci sono quattro priorità fondamentali. Primo: cibo, e non qualsiasi, ma cibo nutriente. La popolazione è spinta alla malnutrizione, quindi servono razioni che garantiscano un apporto equilibrato. Le nostre forniture sono pensate per sfamare una famiglia di cinque persone per due settimane. Secondo: forniture mediche, dai materiali per curare ferite e ustioni ai farmaci di base, disinfettanti, creme antibatteriche, antisettici. Terzo: materiali per riparo, perché il clima si sta raffreddando e molte famiglie vivono tra le macerie. Servono tende, coperte, plastica, vestiti caldi. Quarto: carburante, necessario per pompare acqua, alimentare ospedali, cucinare. La legna è ormai quasi finita e la gente non ha più nulla da bruciare.

Quanta parte degli aiuti dell’Unrwa è attualmente bloccata fuori da Gaza?

Nei nostri magazzini in Giordania e in Egitto abbiamo scorte sufficienti per l’intera popolazione della Striscia — circa due milioni di persone — per tre mesi. Parliamo di cibo, farina, kit igienici. In termini logistici, equivale a circa 6.000 camion di aiuti. Non abbiamo 6.000 camion fisici in fila, ma quella è la quantità di materiali pronta per essere caricata. E questo rappresenta circa la metà delle scorte totali del sistema Onu nella regione. Se non ci lasciano entrare, significa che il 50 per cento degli aiuti immediatamente disponibili non può raggiungere le persone che ne hanno bisogno.

Altre agenzie Onu potrebbero sostituirvi nel trasporto degli aiuti?

No, sono molto più piccole di noi. Stiamo cercando soluzioni, ma non dovremmo essere costretti a farlo. La soluzione è semplice: lasciarci entrare e permetterci di fare il nostro lavoro.

E poi c’è il capitolo istruzione.

Siamo all’inizio del terzo anno scolastico in cui i bambini di Gaza non vanno a scuola. Prima della guerra l’Unrwa forniva istruzione a 300.000 alunni. Durante la tregua avevamo creato oltre 450 spazi di apprendimento temporanei con attività educative, giochi e supporto psicologico. In quel periodo siamo riusciti a raggiungere 60.000 bambini, ma oggi ne restano attivi solo 150, per circa 10.000 studenti. Le scuole sono distrutte o usate come rifugi. La nostra priorità è ricostruire strutture temporanee, creare nuove aule, anche provvisorie, per non perdere questa generazione. Senza istruzione non c’è futuro, né per i bambini né per Gaza.

Che ruolo avrà l’Unrwa nei piani di ricostruzione di Gaza?

Il Segretario Generale dell’Onu è stato chiaro: nessuna operazione sarà possibile senza l’Unrwa. Ognuna delle agenzie Onu ha competenze specifiche, ma nessuna possiede la capacità logistica e sociale che abbiamo noi. Il nostro lavoro non si limita all’emergenza: in tempi normali ci occupiamo di educazione, sanità, acqua e servizi sociali. Dopo la fase umanitaria immediata, saremo fondamentali per la ricostruzione e la ripresa sociale di Gaza, per aiutare la popolazione a riavere scuole, servizi pubblici e stabilità economica.

Il ripristino degli aiuti umanitari sotto il controllo Onu è una bocciatura totale della Gaza Humanitarian Foundation

Sì, è stato un fallimento. L’Onu lo aveva previsto fin dall’inizio. Persino il direttore della Ghf si dimise prima che iniziassero le operazioni, dicendo che non avrebbe rispettato i principi fondamentali dell’umanitarismo: neutralità, indipendenza, imparzialità. L’approccio era sbagliato: troppo pochi punti di distribuzione e troppo lontani. Le persone dovevano viaggiare chilometri, spesso in zone pericolose, e molti sono stati uccisi o feriti. L’aiuto deve andare verso le persone, non il contrario. Il modello giusto è quello che abbiamo già applicato: centinaia di punti di distribuzione diffusi sul territorio, dove la gente vive realmente.

Cosa dobbiamo imparare da questo?

Che l’interesse dei civili deve restare sempre al centro. L’umanitarismo non è un concetto astratto, è andare dove c’è bisogno e assicurarsi che nessuno venga lasciato indietro. Orfani, vedove, anziani, feriti: tutti devono ricevere la loro parte di aiuto, in modo equo e sicuro.

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