Le copie del Corano in fiamme, il tappeto mangiato dal fuoco e un muro pieno di fuliggine. È il risultato dell’incendio appiccato nelle prime ore di giovedì da un gruppo di coloni alla moschea di Hajja Hamida, a sud di Nablus. Un attacco senza precedenti che dimostra come il livello di violenza in Cisgiordania è giunto al culmine.

La moschea è stata salvata grazie ai residenti che sono intervenuti nell’immediato. Scioccati hanno denunciato all’agenzia Wafa che i coloni hanno scritto sulle pareti degli slogan razzisti contro arabi e musulmani. Non solo, i muri della moschea sono stati imbrattati anche con scritte di minacce contro l’Idf, e nello specifico contro il capo del Comando centrale dell'Idf, Avi Blot. Un chiaro segnale di protesta contro la presa di posizione dell’esercito ebraico dopo l’annunciato che arginerà la violenza dei coloni.

È l’epilogo per aver tollerato negli ultimi due anni l’escalation di attacchi, espropri forzati e uccisioni a danno dei palestinesi. «Questi atti contraddicono i nostri valori, oltrepassano una linea rossa e distolgono l’attenzione delle nostre forze dall'adempimento della loro missione», aveva detto mercoledì il capo di stato maggiore dell’Idf Eyal Zamir.

La situazione è sfuggita di mano e parte del governo israeliano – non di certo l’ala rappresentata dai ministri dell’ultradestra Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich – è preoccupata della reazione dell’amministrazione Trump. Il segretario di Stato Marco Rubio, ha trapelato «una certa preoccupazione che gli eventi in Cisgiordania possano avere ripercussioni tali da compromettere ciò che stiamo facendo a Gaza», ha detto a margine del G7 in Canada. Mentre parlava con i giornalisti, a Gaza la Jihad Islamica si apprestava a consegnare un altro corpo di un ostaggio israeliano trovato a Khan Yunis.

Hamas e Anp

L’incendio appiccato contro la moschea è «un evidente attacco ai musulmani» e «un nuovo atto di razzismo provocatorio», ha fatto sapere l’Autorità nazionale palestinese in una nota. «Dimostra la barbarie a cui è giunta la macchina israeliana di istigazione razzista contro i luoghi santi islamici e cristiani in Palestina» e «costituisce un evidente attacco ai musulmani e ai loro sentimenti religiosi», si legge. Per Hamas l’episodio «rivela il livello di sadismo e razzismo dell’occupazione».

Giovedì è intervenuto anche il comandante della brigata dell’Idf nella regione della Cisgiordania settentrionale, colonnello Ariel Gonen. «Si tratta di un fenomeno grave, in continua evoluzione e pericoloso, che comporta danni a palestinesi non coinvolti e, a volte, persino alle stesse forze di sicurezza», ha detto il colonnello. Secondo Gonen si tratta di «un gruppo marginale di criminali e anarchici» che «si sta facendo giustizia da solo». Una rappresentazione che non fotografa la realtà composta da coloni ultranazionalisti che agiscono – impuniti – per motivi religiosi e discriminatori. «Questi atti sono ingiustificabili e intollerabili. Questa violenza mina la stabilità della sicurezza nella regione», ha aggiunto Gonen.

«La direttiva rivolta a soldati e comandanti è chiara: non restate a guardare. Ogni soldato e comandante è tenuto ad agire il più possibile per prevenire atti di violenza e crimini nazionalisti». Intanto, a nord di Hebron, i soldati hanno ucciso due persone. Per l’Idf erano terroristi, l’agenzia Wafa riferisce che erano due minorenni.

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