La posizione di Joe Biden riguardo a una possibile riforma delle armi è alquanto scomoda. I numeri scarni dei democratici al Congresso, i pochi mesi a disposizione prima del midterm e dell’assai probabile vittoria elettorale non giocano certo a favore del presidente, che peraltro ultimamente ha svestito i panni del negoziatore bipartisan per incarnare quelli del leader dei democratici impegnati in una battaglia per salvare il salvabile sia al Congresso che a livello statale.

Per questo ha scelto di usare il cosiddetto “bully pulpit” per rivolgersi direttamente al popolo americano con un discorso lungo diciassette minuti nella prima serata di giovedì per esporre direttamente le sue richieste al Congresso.

Colpisce subito il paragone iniziale, fatto tra le tombe del cimitero militare di Arlington, in Virginia e le vittime della scuola di Uvalde, che «come molti altri luoghi della vita quotidiana, sono stati trasformati in campi di battaglia».

E poi con il discorso il presidente è tornato con la memoria a dieci giorni prima, alla strage di Buffalo, nello stato di New York, provocata da un diciottenne con idee di estrema destra che credeva alla teoria cospirazioni del “Great Replacement” della popolazione americana bianca con i migranti dal resto del mondo. “Una sposa, un genitore, un nonno, un fratello. Tutti andati per sempre”. Il messaggio che il presidente Biden riferisce di aver recepito da tutte queste famiglie “spezzate” è uno solo: «Fate qualcosa. Semplicemente fate qualcosa. Per l’amor di Dio, fate qualcosa».

Le stragi

Poi arriva l’elenco delle tragedie, a partire dalla più remota: Columbine, in Colorado. risalente al 1999, quando due studenti uccisero dodici compagni di scuola e un insegnante, strage oggetto del documentario di Michael Moore del 2002, vincitore dell’Oscar del 2003.

oi la scuola elementare di Sandy Hook, in Connecticut, strage accaduta nel dicembre 2012 con la morte di 27 alunni, dopo la quale ci fu il vano tentativo di Barack Obama di varare nuove regolamentazioni. Un fallimento personale anche dell’allora vicepresidente Joe Biden, nominato a capo della task force. Si prosegue con il massacro della chiesa di Charleston, in South Carolina, dove il suprematista bianco Dylan Roof uccise 9 fedeli afroamericani nel giugno 2015, con l’attacco terroristico di Omar Mateen, lupo solitario dichiaratosi seguace dell’Isis, che uccise 49 persone in un locale gay. Per concludere con la raccapricciante sparatoria di Las Vegas dell’ottobre 2017, dove un cecchino provocò 61 vittime tra gli spettatori di un concerto di musica country e infine la strage nella scuola di Parkland nel 2018. Tutti questi episodi hanno in comune, secondo il presidente Biden, l’esito finale: non hanno portato ad alcuna riforma.

Il secondo emendamento

Arriva quindi la mano tesa per chi possiede legalmente un’arma: «non si tratta di prendere le armi di nessuno», ha affermato il presidente, che ha proseguito dicendo «rispetto la tradizione e la cultura dei possessori di armi da fuoco». Dopo una citazione del giudice conservatore Antonin Scalia, ecco l’affermazione che dovrebbe portare alla riforma: «Il secondo emendamento non è mai stato assoluto».

A corroborare quest’affermazione, un dato significativo del Centro di Prevenzione e Controllo delle Malattie: la prima causa di morte degli studenti sono le armi da fuoco. «Più del cancro, più degli incidenti automobilistici». Soprattutto, afferma Biden «più dei poliziotti in servizio e dei nostri soldati». Per arrivare alla parola decisiva: «Quante vite innocenti dobbiamo ancora perdere? Basta».

Le proposte sono quelle classiche: un divieto di possedere armi d’assalto come Ak47 e Ar15, un altro sulle pistole con caricatori con capacità superiore ai dieci proiettili e infine un innalzamento della possibilità di comprare armi, dai 18 ai 21 anni. La strada delle trattative con i repubblicani però è in salita. Il senatore repubblicano del Texas John Cornyn, delegato a trattare col presidente Biden dal leader al Senato Mitch McConnell, ha davanti a sé un compito arduo per convincere almeno nove colleghi senatori per far passare una legge con un contenuto minimalista: un cambiamento significativo al sistema di controllo sui precedenti penali, investimenti aggiuntivi su sicurezza scolastica e salute mentale e incentivi per applicare leggi sulla cosiddetta “red flag”, una modalità che consente ai familiari e agli amici di una persona potenzialmente pericolosa di segnalarlo alle autorità per inserirlo in una lista nera e confiscare le armi che già possiede, se necessario.

I democratici difficilmente si accontenteranno di questo, ma la possibilità di far qualcosa è molto ridotta, anche se, ha ammesso il senatore Cornyn, non far nulla dopo questo episodio sarebbe “imbarazzante”. Fino a pochi mesi l’elettorato repubblicano era poco propenso a punire i propri rappresentanti per le loro posizioni in materia di controllo delle armi. Adesso le cose potrebbero cambiare anche in Texas, stato che è primo in classifica per il possesso individuale di pistole e fucili.

© Riproduzione riservata