Bruxelles ha fatto perquisire gli uffici dell’azienda cinese che produce scanner di sicurezza. C’è il sospetto che riceva sussidi dal governo di Pechino, così può avere una forza sul mercato che i concorrenti non hanno. Gli Stati Uniti hanno sicuramente apprezzato
Martedì 23 aprile, investigatori della commissione sulla Competizione dell’Unione europea hanno fatto irruzione con un mandato negli uffici olandesi e polacchi di Nuctech, un’azienda cinese che produce scanner di sicurezza e che, negli ultimi anni, è diventata uno dei principali fornitori di questa tecnologia per gli aeroporti europei.
Fino a pochi anni fa il ceo di Nuctech era Hu Haifeng, figlio di Hu Jintato, ex presidente della Repubblica popolare cinese, predecessore dell’attuale leader Xi Jinping. L’azienda è dunque particolarmente vicina, per storia e governance, al potere centrale di Pechino e, infatti, già in passato era stata oggetto di indagini, in Europa e negli Stati Uniti, per motivi legati alla sicurezza delle sue tecnologie.
Tuttavia le ragioni di questa nuova investigazione non hanno a che fare con la sicurezza degli aeroporti europei, bensì col sospetto che l’azienda, con sede a Pechino, riceva sussidi statali che le permettono di agire in un regime di “eccesso di capacità” e di competere in modo sleale con le aziende europee dello stesso settore.
Il cambio di atteggiamento
L’iniziativa – che fa uso del Foreign Subsidies Regulation, un dispositivo normativo di cui la Ue si è dotata solo a fine 2022, per «affrontare le distorsioni del mercato causate dai sussidi stranieri» – arriva in una finestra temporale molto significativa per le relazioni tra Cina ed Europa.
Xi Jinping ha appena concluso la sua visita nel “vecchio continente” – la prima in cinque anni, che ha portato il leader cinese in Francia, Serbia e Ungheria – mentre qualche settimana prima, nel corso di una visita ufficiale a Pechino, il premier tedesco Olaf Scholz aveva rimarcato la necessità che i rapporti economici e commerciali tra i due paesi si svolgano in un clima di «equa competizione». Dopodiché è stata la volta di Mario Draghi, che ha accusato la Cina di star cercando di «erodere» la capacità industriale europea attraverso una politica di «significativa sovracapacità in molteplici settori».
Benché già lo scorso ottobre ci siano state indagini circa i sussidi cinesi nel settore delle auto elettriche, il raid negli uffici di Nuctech segna una presa di posizione senza precedenti da parte di Bruxelles in merito alle politiche industriali di Pechino. Dopo anni in cui ha cercato di mantenere un profilo diplomatico e dialogante sul tema dei sussidi e dell’aggressiva competitività delle aziende cinesi sui mercati del vecchio continente, con questa mossa l’Ue sembra passare a un confronto a viso più aperto.
Un rapporto difficile
La cosa non può far certo dispiacere agli Stati Uniti, che da tempo accusavano l’Europa di un eccessivo appeasement nei confronti di Xi Jinping. Come ha di recente dichiarato la rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti Katherine Tai, gli Usa apprezzano il tentativo europeo di «identificare ed esplorare modi per affrontare le politiche e le pratiche non di mercato utilizzate dalla Cina in una serie di settori».
Di tutt’altro tenore, ovviamente, è stata la reazione cinese, affidata a una nota nella quale si legge: «Riteniamo che le ispezioni non annunciate della Ue interferiscano con l’ordine della concorrenza leale sul mercato (...) indichino l’ulteriore deterioramento dell’ambiente economico della Ue e inviino un segnale estremamente negativo a tutte le aziende straniere che operano nella Ue. Il protezionismo non può portare prosperità, e sopprimere gli altri non farà altro che indebolire la propria competitività».
Lo scorso autunno, Pechino aveva risposto all’indagine europea sui sussidi alla mobilità elettrica con una equipollente ritorsione sulle importazioni di liquori europei in Cina. Un colpo non da poco per il settore, soprattutto per la Francia. Tuttavia anche la Cina non può prendere troppo alla leggera l’accresciuto attivismo europeo.
Esso arriva infatti in un momento di delicata transizione, e di ambiziosa maturazione tecnologica, dell’economia cinese. Una transizione che, data la scarsa vitalità della domanda interna, ha un assoluto bisogno delle esportazioni e dei mercati altrui per avvenire con successo.
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