Dopo l’arrivo dell’ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, da mercoledì sera Budapest si è paralizzata per ricevere il presidente cinese Xi Jinping e uno stuolo di funzionari, con misure eccezionali che neppure per la visita del papa si erano viste. Questo giovedì, nel giorno della Festa dell’Europa, si tiene il bilaterale tra Viktor Orbán e il suo ospite cinese: può davvero sembrare che l’autocrate ungherese stia apparecchiando una grande beffa, trasformando la capitale del suo paese in un crocevia di illiberali.

La prima destinazione

«Oggi l'Ungheria è la prima destinazione degli investimenti cinesi nella regione dell'Europa centrale e orientale»: è stato lo stesso Xi Jinping – in un editoriale consegnato a Magyar Nemzet – a ribadire la eccezionalità ungherese e la portata strategica della cooperazione.

Con l’incontro, ci si aspetta annunci di nuovi stabilimenti per le auto elettriche, si vocifera di un ruolo cinese nel progetto nucleare russo di Paks 2, e tutta una serie di iniziative che – come conferma a Domani Tamas Matura, l’esperto dei rapporti sino-ungheresi dell’università Corvinus di Budapest – possono essere lette anche con la lente dell’isolamento di Orbán nel consesso europeo. «Il deflusso di fondi Ue verso l’Ungheria mette il premier ungherese ancor più alla disperata ricerca di alternative finanziarie», dice Matura.

«Così mentre le tensioni tra Ue e Cina crescono, Budapest rappresenta per definizione lo stato membro europeo che fa politiche filocinesi e si presenta come partner prezioso per Pechino».

Tra Paks e Pécs

Alcuni progetti sono andati più a rilento dello scalpore che hanno generato – si pensi al tratto ungherese di ferrovia cinese, o al paventato sbarco a Budapest della Fudan University – e la visita di Xi dovrebbe dare nuovo slancio alla cooperazione. Péter Szijjártó, il ministro degli Esteri orbaniano, pregusta oltre una dozzina di nuovi accordi, che vanno dall’estensione del progetto ferroviario alla cooperazione energetica.

Circola pure l’ipotesi che possa essere la Cina a cavare Russia e Ungheria dall’impaccio sul progetto Paks 2. Più di un anno fa, con Washington che minacciava sanzioni su Paks, Szijjártó si era recato al Cremlino per capire come gestire il divorzio di Rosatom dal progetto di ampliamento della centrale nucleare ungherese; viceversa, Orbán era all’Eliseo per negoziare un subentro francese, come ricostruito su Domani.

Ma la transizione si sta rivelando difficoltosa, così c’è chi scommette su un ingresso della Cina nella partita. Certo è che, dopo Budapest, Xi farà tappa a Pécs per far gli onori alla ventura fabbrica di auto Great Wall Motors.

La furia delle madri

Intanto il caso dello stabilimento cinese di batterie elettriche Catl a Debrecen sta già mostrando quando sia spericolato il piano orbaniano di apertura alla Cina.

La settimana scorsa il nuovo anti Orbán, Péter Magyar, ha organizzato proprio a Debrecen una affollata manifestazione, dando un palco alle “madri di Mikepércs”, il movimento di protesta per l’impatto socioambientale della fabbrica, «Per attirare questi investimenti, il governo Orbán ha praticato una deregulation selvaggia, spazzando via le sovrintendenze ambientali», spiega lo storico Stefano Bottoni.

Qualche anno fa fece scandalo la cosiddetta “slave law” con la quale Orbán abbatteva le tutele per i lavoratori per favorire le manifatture automobilistiche tedesche. La nuova frontiera è l’abbattimento delle tutele ambientali per compiacere quelle cinesi. Il cerchio si chiude: come Catl stessa sa, «Debrecen è vicina alle manifatture nostre clienti, come Mercedes-Benz, BMW, Stellantis e Volkswagen». Batterie cinesi per auto tedesche, e una deregulation che tira l’altra.

© Riproduzione riservata