Nei giorni dell’arrivo a Kiev della delegazione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), l’Ucraina accusa Mosca di aver bombardato Energodar, la città che ospita la centrale nucleare più grande d’Europa e tra le dieci più grandi al mondo, quella di Zaporizhzhia. A circa 500 chilometri da Kiev, la centrale è stata occupata dall’esercito di russo lo scorso 4 marzo, poco dopo lo scoppio della guerra

Di fronte al pericolo concreto, molti cittadini sono preoccupati che il rimpallo di responsabilità dei paesi in conflitto possa condurre a un incidente che avrebbe un impatto disastroso su tutto il continente e non solo. Angela Bitonti, avvocata e presidente dell’Associazione diritti umani (Adu), composta da giuristi e avvocati, ha presentato – insieme all’avvocata Sonia Sommacal – tre ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’uomo per sollecitare un intervento istituzionale che costringa sia la Russia sia l’Ucraina a interrompere i combattimenti nei pressi della centrale. 

«Adu ha avuto numerose richieste da parte di cittadini europei perché le persone si sentono minacciate», spiega Bitonti, che ha inoltrato le richiesta alla Corte – in base all’articolo 39 della Convenzione – chiedendo lo stop di questa escalation di pericolosità e l’allontanamento di entrambi i paesi dalla centrale, non solo della Russia.

Rimpallo di accuse

Da mesi i due paesi si accusano reciprocamente, imputando all’altra parte di mettere in pericolo la centrale, e di conseguenza la sicurezza dei cittadini. E anche a poche ore dall’arrivo della delegazione, secondo l’Ucraina, la Russia «sta deliberatamente bombardando i corridoi» che dovrebbero percorrere gli esperti dell’agenzia internazionale, «con l’obiettivo di deviare la delegazione verso il territorio temporaneamente occupato della Crimea e le regioni di Donetsk e Lugansk», denuncia il consigliere capo dell’ufficio del presidente ucraino.

Mosca, che aveva rifiutato la richiesta delle Nazioni Unite di demilitarizzare l’area, ha però acconsentito a una missione dell’Aiea, mirata a valutare i danni all’impianto, le condizioni dei circa 9mila lavoratori che da mesi sono sotto il controllo russo e a stabilizzare il più possibile la situazione. La delegazione è riuscita a raggiungere la città e spera di riuscire a istituire una missione permanente che garantisca la sicurezza dell’impianto.

La situazione è stata definita dall’Alto rappresentante dell’Unione europea, Josep Borrell, un «gioco d’azzardo» che «è qualcosa di molto pericoloso», mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha detto che si è arrivati «a un passo da un disastro radioattivo»: a causa di un incendio di una centrale a carbone – provocato da un bombardamento delle forze russe – che forniva elettricità alla centrale di Zaporizhzhia, i reattori sono stati isolati dalla rete elettrica. Il sistema di raffreddamento e di sicurezza dell’impianto ha continuato a funzionare solo grazie a generatori ausiliari. Anche in questo caso, fonti ufficiali russe hanno attribuito le responsabilità all’Ucraina. 

I ricorsi

Nei ricorsi presentati alla Corte del Consiglio d’Europa l’avvocata rappresenta una cittadina ucraina, una cittadina rumena e infine una cittadina italiana di 19 anni. Nei primi casi ha chiesto alle autorità europee di prendere misure solo nei confronti del paese invasore, nell’ultimo caso invece ha citato entrambi gli stati. «Rischiano la vita i cittadini che vivono nel paese in conflitto ma anche quelli che vivono al di fuori dei confini della guerra», dice Bitonti, e la pericolosità crescente mette a rischio «il futuro della mia assistita, dei giovani e non solo». 

Una situazione molto delicata e fragile che, come scrive l’avvocata nel ricorso, «espone la ricorrente a un rischio grave e imminente per la sua vita»: una violazione dell’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Bitonti chiede quindi alla Corte di adottare provvedimenti d’urgenza specifici nei confronti dei due paesi. 

Le autorità del Consiglio d’Europa hanno però dato la stessa risposta in tutti e tre i casi presentati: «Non siamo soddisfatti della posizione di Strasburgo», commenta l’avvocata. I giudici hanno rifiutato la richiesta perché la Corte «ha già ordinato misure ad interim, a seguito delle istanze del governo ucraino – dell’1 e del 6 marzo – chiedendo alla Federazione russa di astenersi da attacchi militari contro, tra l’altro, civili e strutture civili. Tali misure provvisorie rimangono in vigore», scrive la Corte. Per quanto riguarda l’Ucraina, invece, i giudici di Strasburgo non intendono imporre al governo le misure richieste dalla legale. 

Bitonti ha evidenziato che la Corte non ha dichiarato l’azione infondata, mostrando così la rilevanza della questione. «Stiamo aspettando gli esiti del sopralluogo dell’Aiea e, in base alla relazione proponiamo un altro ricorso», dice. 

L’ispezione

(AP Photo/Efrem Lukatsky)

Lo scorso 4 agosto, il direttore generale dell’Aiea, Rafael Grossi, aveva allertato l’Onu: «C’è un catalogo di cose che non dovrebbero mai accadere in nessun impianto nucleare. La situazione è molto fragile, ogni principio di sicurezza nucleare è stato violato in un modo o nell’altro e non possiamo permettere che questo continui». Anche Grossi fa parte della delegazione di 14 esperti che da oggi, 31 agosto, al 3 settembre ispezionerà la centrale.  

La Russia e il Consiglio d’Europa

La Federazione russa, uscita dal Consiglio d’Europa formalmente il 16 marzo, a partire dal 16 settembre non sarà più vincolata a rispettare le decisioni della Corte. I giudici di Strasburgo potranno trattare i ricorsi presentatu nei confronti di Mosca solo fino a quella data. «Abbiamo poco tempo», dice l’avvocata Angela Bitonti, che sottolinea: «La vita non deve essere considerata solo un diritto, ma un valore assoluto su cui fondare le nostre società. Le istituzioni democratiche non possono prescindere da questo».

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