Dopo gli ultimi raid, Pezeshkian annuncia la fine della guerra: «Se Israele non viola la tregua, non la violiamo neanche noi». Tensione tra Teheran e Doha per l’attacco alle basi americane. Nella Striscia di Gaza, intanto, l’Idf ha ucciso altre 40 persone
Che sia ricordata veramente come la «guerra dei 12 giorni» – così è stato definito da Donald Trump il conflitto iniziato da Israele contro l’Iran lo scorso 13 giugno – è ancora da vedere. Per ora, nonostante entrambe le parti abbiano violato la tregua annunciata con tanto clamore nella notte tra il 23 e il 24 giugno dal presidente statunitense, il cessate il fuoco è ancora in vigore.
Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha annunciato la fine della guerra e lo stesso ha fatto l’esercito israeliano. «Abbiamo concluso un capitolo importante, ma la campagna contro l'Iran non è finita. Stiamo entrando in una nuova fase, che si basa sui risultati dell’operazione attuale. Abbiamo fatto regredire di anni il progetto nucleare iraniano, e lo stesso vale per il suo programma missilistico».
Un ulteriore segnale positivo è la ripresa del traffico aereo dei voli civili nei cieli dei paesi del Golfo Persico. A evitare la prosecuzione del conflitto dopo che il regime Teheran ha colpito Beer Sheva, causando almeno quattro vittime, e lanciato due missili balistici, ci ha pensato lo stesso Trump che con una telefonata ha cercato di fermare la risposta del gabinetto di guerra guidato da Benjamin Netanyahu.
Dopo la chiamata «Israele ha rinunciato a ulteriori attacchi», ha fatto sapere l’ufficio del premier israeliano. Da lì ne è nata una risposta “simbolica”, con l’Idf che ha colpito un radar nel nord della capitale. Troppo importante per il presidente Usa mantenere la tregua, dopo gli insuccessi raccolti tra il conflitto a Gaza e quello in Ucraina. Lo è anche per la Cina, che teme pesanti ricadute economiche per il blocco dello stretto di Hormuz. Ieri, infatti, il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha avuto un colloquio telefonico con il suo omologo iraniano Abbas Araghchi, al quale ha fornito il sostegno di Pechino per mantenere attivo il cessate il fuoco.
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Il Consiglio supremo per la sicurezza nazionale dell’Iran ha rivendicato il cessate il fuoco come una vittoria. Le forze armate hanno rilasciato una dichiarazione nel quale raccontano di aver inflitto una «risposta umiliante ed esemplare alla crudeltà del nemico», culminata con l’attacco “telefonato” e “innocuo” alle basi statunitensi in Qatar. E ancora: gli attacchi hanno costretto «il nemico al rimorso, ad accettare la sconfitta e a cessare unilateralmente la propria aggressione».
Dopo giorni di silenzio si è espresso anche Pezeshkian: «Questa storica vittoria appartiene alla grande nazione e civiltà dell'Iran», ha detto, prima di confermare che il governo è «pronto a tornare al tavolo dei negoziati». Secondo Pezeshkian, l’Iran «non ha mai cercato di acquisire armi nucleari e non lo fa adesso».
Il Qatar non gradisce
Da parte sua, però, il Qatar non ha gradito l’attacco subito sul suo territorio. Si è trattato di un grave danno d’immagine per un paese che ha sempre cercato di apparire all’esterno e al suo interno come estremamente sicuro. Le immagini del panico diffuso dentro i centri commerciali qatarini hanno messo in imbarazzo il piccolo emirato. Per questo motivo, in segno di protesta, è stato convocato a Doha l’ambasciatore iraniano, Ali Salehabadi, al quale è stato comunicato che il Qatar «si riserva il diritto di rispondere».
I missili lanciati contro la base militare statunitense di Al Udeid è stato un «atto di autodifesa ai sensi dell'Articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, in risposta all'aggressione ingiustificata degli Stati Uniti contro l'integrità territoriale e la sovranità nazionale dell'Iran», ha fatto sapere il portavoce del ministero degli Esteri, Esmail Baghaei. «Questo atto di autodifesa – ha aggiunto provando a riappacificare le parti – non ha nulla a che fare con il nostro vicino amico Qatar, poiché godiamo di relazioni eccellenti e profondamente radicate».
Bilanci e nucleare
Il bilancio dei 12 giorni di conflitto è eloquente: 28 morti e 900 feriti in Israele contro gli oltre 610 morti e 4.700 feriti in Iran. Ma per il regime di Teheran il colpo più duro è quello subito contro i suoi siti nucleari e contro la sua leadership militare. Nelle ultime ore è stata confermata anche la morte del comandante della forza paramilitare Basij e dello scienziato nucleare, il 14esimo secondo l’Idf, Mohammad Reza Seddighi Saber.
Nonostante gli attacchi subiti, l’Agenzia atomica iraniana ha detto che «il programma nucleare iraniano riprenderà senza interruzioni e siamo pronti a riavviare l’arricchimento. Il nostro programma non si fermerà». Di sicuro ci vorrà del tempo, visto le pesanti perdite subite alle sue infrastrutture. Per ora l’Idf ha annunciato che l’attenzione sarà concentrata di nuovo su Gaza, dove ieri sono state uccise altre 40 persone dall’inizio della tregua.
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