Compie ottant’anni Ricardo Ezzati, l’arcivescovo di Santiago del Cile creato cardinale da papa Francesco nel 2014, e mentre per lui si chiudono le porte del Conclave con la fine della prerogativa di cardinale elettore, si aprono quelle del tribunale di Santiago. Figura di spicco della chiesa latinoamericana, il porporato nato a Vicenza dovrà infatti rispondere, insieme ad altri membri dell’ordine salesiano cileno tra cui Maximiano Ortúzar, Alfonso Horn, gli ex provinciali Natale Vitali Forti, Alberto Lorenzelli Rossi e Leonardo Martínez, delle accuse di associazione criminale per aver coperto decine di abusi sessuali tra il 1973 e il 2009.

Un «patto di silenzio» lo hanno definito i legali delle vittime: «Questo processo sarà importante anche per mettere in luce le responsabilità delle rispettive autorità ecclesiastiche e laiche, in passato percepite come un’entità unica» spiega l’avvocato degli abusati, Juan Pablo Hermosilla. Si prospetta un gennaio cupo per Ezzati, che esattamente 5 anni fa aveva presentato le sue dimissioni mentre s’infittiva la trama della pedofilia in uno dei paesi più cattolici dell’America Latina.

Due anni dopo aver presentato le sue dimissioni, papa Francesco lo destituiva e la Corte d’appello di Santiago respingeva la richiesta di archiviazione delle indagini su altri presunti occultamenti. A riprova del carattere endemico dei casi, oggi è possibile consultare la mappa stilata dalla Rete dei sopravvissuti cileni: una dolorosa dorsale su cui s’affastellano storie fino a poco tempo fa sommerse, per un totale di 360 casi finora accertati.

Associazione criminale

Ora le vittime chiedono che sia riconosciuta la responsabilità di quei prelati che, malgrado sapessero, non hanno fatto nulla.

Che alla base ci sia una condotta di occultamento e depistaggio, lo ha ammesso lo stesso papa Francesco nella lettera ai vescovi cileni del 2018, dove al suo mea culpa faceva seguito la consapevolezza di «mancanza di informazioni veritiere ed equilibrate»: «Dopo 11 anni di indagini sui sacerdoti predatori, in questa fase stiamo ricostruendo le responsabilità di figure come il cardinale Ezzati e altri vescovi cileni, che non solo non denunciarono le violenze di cui erano a conoscenza, ma si macchiarono anche di occultamento, spostando gli abusatori da una parrocchia all’altra: è quanto in gergo chiamiamo procurar la fuga», spiega Hermosilla.

L’azione legale punta a far luce sui crimini compiuti nell’ordine salesiano, ma coinvolge anche figure apicali del clero cileno. Tra costoro, il cardinale Francisco Javier Errázuriz, membro fino al 2018 del C9, il monco consiglio di cardinali scelti dal pontefice per riformare la chiesa e la curia, e Ivo Scapolo, nunzio apostolico in Cile quando papa Francesco vi si recò in visita apostolica: «Scapolo era a conoscenza degli abusi, almeno di quelli compiuti da Fernando Karadima.

Lo sappiamo grazie a una lettera inviatagli dal cardinale Errázuriz, e sappiamo anche che c’erano già state denunce. Sono certo che ne fosse a conoscenza, mentre i due cardinali nascondevano i casi, facendo però credere che stavano indagando», spiega Hermosilla.

Operatio Impunitatis

Per Hugo Rivera, avvocato difensore del cardinale Ezzati, le accuse sarebbero infondate. Viceversa, l’accusa ritiene questo posizione l’ennesima prova di un «atteggiamento di superbia». Hermosilla sottolinea: «Ci siamo basati su casi di pedofilia che la stessa Congregazione per la dottrina della Fede ha stabilito come certi. Quello che oggi chiediamo è di evitare l’impunità, per nel momento in cui un delitto non viene punito, i reati possono ripetersi».

È proprio quest’ultimo il danno più grave: lo dimostra il caso di Patricio Vela, abusato per anni dal sacerdote Cristián Precht, morto suicida 24 anni fa: «L’ultimo uomo che Vela ha visto prima di togliersi la vita era il suo carnefice. È stato necessario l’intervento di Papa Francesco perché Precht fosse ridotto allo stato, dopo la prima condanna era stata una sospensione dal sacerdozio di soli 4 anni».

In questi anni, Hermosilla menziona tre casi di suicidio fra i suoi assistiti, mentre altri hanno tentato di togliersi la vita: «L’ultimo caso risale a due settimane fa e riguarda un uomo attualmente in cura presso una clinica con manie suicide. Si può solo lontanamente immaginare cosa significhi avere un mondo interiore distrutto quando si è bambini: che difese hai a otto anni?», si domanda.

È un tema morale davanti al quale la chiesa non può sottrarsi: «Quando la vittima si decide a denunciare perché continua a credere che la chiesa può offrirgli un aiuto, le autorità ecclesiastiche spesso non ascoltano, anzi ti ridono in faccia. Chi sminuisce gli abusi, spesso produce un danno psicologico maggiore dell’abuso sessuale stesso».

Un papa impopolare

Malgrado le epurazioni innescatesi negli anni come un effetto domino su decine di vescovi cileni, la sete di giustizia punta i riflettori sulla tiepida incisività di Francesco nel contrastare gli abusi. Il recente scetticismo espresso da Bergoglio sul rapporto francese della Commissione Sauvé ricorda da vicino le sue posizioni sul caso cileno.

Il 18 gennaio 2018, poco prima della celebrazione eucaristica a Iquique, il papa sminuì davanti alla stampa le accuse contro il vescovo di Osorno, Juan Barros Madrid, che non avrebbe riportato le denunce a carico del suo mentore, Fernando Karadima: «Parlerò il giorno in cui mi porteranno le prove contro il vescovo», chiosò stizzito Francesco, bollandole come calunnie. Barros si dimise pochi mesi più tardi, ma il malessere suscitato dal papa nelle vittime raggiunse anche alcuni prelati cattolici.

L’arcivescovo di Boston, il cardinale Seán Patrick O’Malley, prese le distanze dalle parole del papa in modo ufficiale, e fonti vaticane affermano che - contrariamente a quanto detto ufficialmente - il porporato americano si precipitò in Perù per invitare il papa a ravvedersi dalle parole pronunciate qualche giorno prima a Santiago del Cile: «Le parole del papa trasmettono il messaggio che se non puoi provare le tue affermazioni, non sarai creduto» recitava il comunicato ufficiale dell’arcidiocesi di Boston. Così, nel volo di ritorno, Francesco corresse il tiro: «Sentire che il papa dice loro in faccia: “portatemi una lettera con la prova”, è uno schiaffo. E adesso mi accorgo che la mia espressione non è stata felice, perché non ho pensato a questo».

Qualche mese più tardi, Hermosilla era al seguito delle vittime di abusi che il papa accolse in Vaticano: «Credo che il papa non fosse al corrente di tutto perché chi lo informava erano i vescovi cileni. Ciononostante, malgrado il suo potere, credo che abbia fatto poco: o non ha tutto il potere che lui pensa che lui abbia, oppure non ha la risolutezza che ci si immagina. Dev’essere una delle due, perché quando le prove sono così chiare, è un mistero che abbia fatto così poco» ammette.

Resta il paradosso che le aspettative riposte nel primo papa latinoamericano, lo stesso Bergoglio artefice della teologia del popolo, non solo non abbiano frenato l’emoraggia di fedeli nel paese che, alla vigilia del golpe militare del ‘73, annoverava l’80 per cento di cattolici, ma sono rimaste un’eco vuota, malgrado i summit e le parole.

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