Il Cile ha rifiutato la nuova costituzione che andava a plebiscito questa domenica 4 settembre. Con 62 per cento di voti contrari e 38 per cento a favore, il risultato ha dato chiaramente uno stop alla possibilità di cambiare il testo costituzionale tuttora vigente, approvato nel 1980, durante la dittatura di Pinochet.

Resta in vigore quella costituzione che, sebbene sia stata riformata in diverse occasioni dal ritorno alla democrazia, è stata contestata nelle piazze di tutto il Paese durante una rivolta sociale inedita esplosa nell’ottobre 2019 per rivendicare condizioni di vita migliori, l’accesso alla salute e all’educazione, un sistema di pensioni pubblico, la de-privatizzazione di beni comuni come l’acqua. È da queste enormi proteste che è partita la spinta per un processo costituente che, dopo quasi tre anni di gestazione, viene rigettato indietro con un duro colpo.

Una costituzione progressista

«Con questa costituzione pochi imprenditori si portano via tutta la ricchezza, con la nuova si ridistribuisce», spiegava Renato dopo aver votato, appena fuori dallo Stadio Nazionale, un luogo simbolico per la memoria storica della città di Santiago, poiché è stato carcere e centro di tortura durante la dittatura civico militare di Pinochet e in queste elezioni ha riaperto i battenti come seggio elettorale.

Si riferisce al modello neoliberista su cui si è costruito il Cile degli ultimi quarant’anni e che la costituzione elaborata da Jaime Guzmán, braccio destro del dittatore e volto noto dei Chicago Boys, ha facilitato nel suo sviluppo più radicale: secondo uno studio della Cepal di febbraio il Cile è il paese dell’America Latina in cui l’élite ricca concentra il patrimonio più alto. Solo nove persone accumulano il 16 per cento del prodotto interno lordo del Paese. Il World Inequality Report del 2022 segnala che l’1 per cento più ricco in Cile concentra il 49,6% della ricchezza totale del Paese.

Nella nuova costituzione, lo Stato avrebbe abbandonato il suo ruolo sussidiario per diventare uno «Stato sociale e democratico di diritto» che avrebbe garantito un ampio ventaglio di diritti politici, sociali, culturali, oltre a includere gli standard internazionali in materia di diritti umani.

La campagna per il no

Fuori dal seggio, Daniel crede invece che la nuova costituzione sia stata scritta male: «Per me il lavoro della Convenzione è stato un circo di pagliacci, sono andati sul versante del comunismo». Come lui, in tanti pensano che sia necessaria una nuova costituzione, ma non quella che è stata scritta e sottoposta a plebiscito.

Questa è stata anche una delle parole d’ordine su cui si è concentrata la campagna del “rifiuto” del nuovo testo costituzionale, che ha fatto leva sul lemma del “rifiuto con amore.”

C’è stata una precisa strategia mediatica anche sui social secondo Pedro Santander, direttore del gruppo di ricerca Demoscopía Electronica del Espacio Público (DEEP), dell’Universidad Católica di Valparaiso, dove i volti più noti sia della destra tradizionale che della più estrema sono spariti per lasciare che assumessero la leadership utenti anonimi della rete, mentre sulla stampa, in tv e in radio apparivano soprattutto i politici della Democrazia Cristiana che si sono allontanati dalla linea del partito – schierata per l’approvazione - e di altri partiti di centro.

L’idea era di diluire il volto più pinochettista della campagna del rifiuto, e renderla una campagna cittadina, dove si potesse identificare una gran fetta di popolazione, e soprattutto quella che normalmente non va a votare. In un Paese dove l’affluenza alle urne è generalmente molto bassa, sotto il 50 per cento, per la prima volta dopo 10 anni il voto è tornato ad essere obbligatorio, e la difficoltà dei politologi nell’interpretare la scelta che avrebbe fatto questa componente dell’elettorato ha reso poco prevedere il risultato elettorale fino all’ultimo.

Quel che invece si vedeva chiaramente da mesi era il meticoloso lavoro portato avanti dalla destra per creare un clima politico avverso alla Convenzione, attraverso numerosi strumenti. I mezzi di comunicazione in Cile sono sostanzialmente un duopolio, e hanno riprodotto costantemente una linea editoriale affine al rifiuto, arrivando a dare voce alle numerose fake news che hanno punteggiato l’intero lavoro della Convenzione, richiamando perfino l’attenzione di cinque deputati democratici statunitensi, che hanno rivolto un appello ai CEO dei principali social network esprimendo preoccupazione per il livello di disinformazione che hanno lasciato circolare.

Un nuovo tentativo?

Per la prima volta in Cile, la costituzione è stata il risultato di un processo partecipativo e democratico, per la prima volta nel mondo è stata scritta con parità di genere e con seggi riservati per i popoli originari. Ma non è questo il cammino che hanno scelto i cileni e le cilene al voto.

Il presidente Gabriel Boric aveva già dichiarato da tempo che, qualsiasi fosse stato il risultato elettorale, avrebbe seguito il mandato del popolo cileno espresso con la prima votazione dell’ottobre 2020 quando un primo plebiscito determinava la volontà di cambiare la costituzione con il 78 per cento delle preferenze. Dopo il risultato del plebiscito, ha parlato al paese valorizzando la partecipazione al voto e confermando l’impegno «a costruire con il Congresso e la società civile un nuovo itinerario costituente che ci dia un testo che riesca a interpretare la grande maggioranza».

Il primo gesto di Boric, appena eletto presidente a marzo, era stato proprio visitare la Convenzione, che stava lavorando alla nuova costituzione, e il legame di questo governo con il processo costituzionale viene da più lontano, poiché Boric è stato uno dei principali artefici dell’Accordo per la Pace sociale e la nuova costituzione, firmato da un ampio ventaglio di forze politiche il 15 novembre 2019, che in quel momento cercava di canalizzare le proteste e riportare il Paese all’ordine. Per queste ragioni, il governo ha speso molte energie nel proteggere questo percorso ma il suo capitale politico, già consumato nei primi mesi di governo, non ha aiutato il voto.

D’altro canto, una forza politica di rilievo in questo processo costituente come quella femminista della Coordinadora 8M ha riconosciuto la sconfitta e dichiarato allo stesso tempo che continuerà a lavorare per una nuova costituzione che il popolo cileno ha rivendicato nelle piazze e nelle urne durante gli ultimi anni, perché «non c’è modo di fermare il fiume quando corre nel suo letto».

© Riproduzione riservata