Blued e Finka erano le app più frequentate dalla comunità Lgbtq in Cina. Il governo di Pechino le ha appena oscurate, senza una motivazione ufficiale, togliendo a milioni di persone gay, lesbiche e transessuali le loro comunità virtuali. Spazi in molti casi vitali, per chi risiede al di fuori delle metropoli, nelle aree remote del paese dove abita ancora circa il 40 per cento della popolazione e dove l’omosessualità non è tollerata come a Shanghai e Pechino.

Come spesso accade in questi casi, non è arrivato alcun annuncio da parte delle autorità: sono stati gli stessi utenti a scoprire negli ultimi giorni che le due piattaforme erano scomparse dagli store digitali. Poi la conferma è arrivata da Apple, che ha dichiarato di aver agito su ordine diretto della Cyberspace administration of China (CAC), l’agenzia governativa voluta da Xi Jinping per sovrintendere alla colossale intranet cinese, una rete chiusa per la quale la CAC detta le regole e filtra i contenuti.

Una versione semplificata di Blued rimane ancora accessibile, mentre l’app internazionale HeeSay, anch’essa molto utilizzata in Cina, continua a funzionare fuori dai confini nazionali, tramite software vpn, utilizzato per scavalcare la grande muraglia informatica.

Sentirsi parte di una comunità

Quest’ultimo giro di vite non è stato accompagnato da spiegazioni ufficiali. Secondo fonti vicine al dossier, citate dai media hongkonghesi, le autorità hanno fatto sparire Blued e Finka per la presenza di contenuti «pornografici e volgari». Tuttavia, per milioni di cinesi Blued e Finka non erano semplici strumenti di dating, ma spazi di socializzazione e riconoscimento identitario.

Il sociologo Taylor Le Cui, specializzato in studi sulla Cina, ha sottolineato che queste app hanno svolto un ruolo cruciale nel permettere agli individui di costruire reti di sostegno e di sentirsi parte di una comunità. È chiaro che la loro eliminazione rischia in molti casi di farli ripiombare nell’isolamento e nell’invisibilità. Soprattutto in quelle aree del paese (la stragrande maggioranza) dove rimane forte la pressione sociale per il matrimonio, in giovane età, tra uomo e donna (quello tra persone dello stesso non è permesso in alcuna forma).

Lo zeitgeist conformista e conservatore della Cina di Xi Jinping identifica gli omosessuali come un pericolo per due motivi. Da un lato le aggregazioni, in questo caso online, delle comunità Lgbtq, come tutte quelle al di fuori delle strutture del partito comunista, sono percepite come una minaccia per l’autorità di quest’ultimo, dal momento che diffondono idee e valori controcorrente. Dall’altro - e in questo caso i timori appaiono del tutto infondati - la libertà di riunione, dibattito e comportamento delle persone omosessuali viene giudicata dagli ambienti più conservatori come aggravante del crollo della natalità del paese.

Negli ultimi tre anni in Cina si sono registrati più morti che neonati, ma tutti sanno che il calo della natalità non ha nulla a che vedere con le persone gay, lesbiche e transessuali, mentre riflette il combinato disposto dell’onda lunga della politica del figlio unico (abolita nel 2016) e dell’insufficienza del welfare, che scoraggia i cinesi a fare figli, per non compromettere il tenore di vita della famiglia di tre componenti, tipica del boom economico.

Una lunga storia di restrizioni

Blued e Finka sono di proprietà della BlueCity Holdings, una società con sede a Hong Kong che nel 2020 era stata persino celebrata dai media statali quando si quotò al Nasdaq.

La fine delle due app si colloca in una lunga scia di restrizioni. Negli anni Ottanta e Novanta, le attività Lgbtq erano spesso perseguite con l’accusa generica di “teppismo”. Solo nei primi anni Duemila (nell’era Hu-Wen) si è registrata una crescita dell’attivismo, poi frenata da nuove strette governative. Nel 2021 furono chiusi numerosi account di associazioni studentesche, mentre nel maggio 2023 il Beijing Lgbt Center, operativo dal 2008, annunciò la cessazione delle attività per «forza maggiore».

Ancora prima, nel 2020, era finita la più importante celebrazione queer del paese, lo Shanghai Pride. Nelle metropoli cinesi i luoghi fisici di aggregazione della comunità Lgbtq, bar soprattutto, resistono, ma sono costretti a mantenere un profilo sempre più basso. Nella Cina di Xi, che promuove l’idillio della famiglia confuciana, le aggregazioni Lgbtq rappresentano una fastidiosa interferenza nel fiume in piena di film, documentari e videogame che celebrano le dinastie imperiali e l’ammodernamento dell’Esercito popolare di liberazione.

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