L’Unione europea intensifica le relazioni con Taiwan e prova ad attrarre investimenti dall’Isola nel settore dei semiconduttori, così come hanno fatto gli Stati Uniti, dove il colosso taiwanese Tsmc ha investito 12 miliardi di dollari in un impianto a Phoenix, in Arizona, che sarà pronto l’anno prossimo e dovrà sfornare microchip a 5 nanometri (attualmente i più avanzati), e il Giappone, dove la stessa multinazionale taiwanese ha speso 7 miliardi di dollari per una fabbrica (in joint-venture con Sony) nella prefettura di Kumamoto, dove produrre, dal 2024, microprocessori a 7, 22 e 28 nanometri.

  • Perché è importante

Il commissario per il commercio, Valdis Dombrovskis, ha annunciato che il prossimo 2 giugno si svolgerà un dialogo sugli investimenti tra l’Ue e Taiwan “rafforzato” rispetto al passato: tra la direttrice generale dell’Ue per il commercio, Sabine Weyand, e la ministra dell’Economia taiwanese, Wang Mei-hua. «Discuteranno di settori critici e aree politiche legate alle catene di approvvigionamento, al controllo delle esportazioni e allo screening degli investimenti esteri diretti», ha spiegato Dombrovskis. Uno sviluppo destinato a irritare la leadership di Pechino, che considera Taiwan parte integrante del territorio della Repubblica popolare cinese e si oppone a qualsiasi potenziamento delle relazioni internazionali dell’Isola.

Mercoledì 18 maggio a Bruxelles si è svolta una manifestazione di parlamentari Ue e funzionari taiwanesi per chiedere la partecipazione di Taiwan in veste di “osservatore” all’Assemblea mondiale della sanità del 22 maggio prossimo.

  • Il contesto

Lo “European Chips Act” prevede investimenti per 45 miliardi di euro per conseguire la sovranità digitale europea. Sui microprocessori – il cervello dell’industria nonché degli armamenti avanzati – si sta giocando la competizione per la supremazia tecnologica tra la Cina e i suoi avversari. Due fattori principali stanno spingendo i governi a promuovere una politica industriale per fabbricare in patria i semiconduttori più avanzati (il 90 per cento dei quali attualmente è prodotto a Taiwan): le interruzioni nelle catene di fornitura a causa della pandemia e della guerra – come spiegato in questo articolo –, che hanno reso sempre più difficile l’approvvigionamento di microchip; la concorrenza della Cina, che l’occidente mira a isolare in questo campo. A questo proposito, il 15-16 maggio scorso si è svolta una riunione dello EU-US Trade and Technology Council della quale a questo link è possibile leggere il comunicato congiunto.

Il momento nero della Cina visto da Kevin Rudd

Il 9 maggio scorso l’ex premier australiano, Kevin Rudd, ha partecipato a un ciclo di conferenze sull’economia cinese organizzato dalla Asia Society e dall’Asia Society Policy Institute, think tank dei quali è presidente. L’intervento di Rudd, intitolato “Xi Jinping’s Year of Instability: The Implications of Mounting Challenges to China’s Economy in 2022”, può essere visto integralmente su YouTube, dove è disponibile a questo link. Secondo il leader laburista, il compito principale della leadership cinese quest’anno sarà quello di invertire la tendenza al rallentamento dell’economia, che il mese scorso ha fatto registrare dati particolarmente negativi (ne diamo conto nella rubrica “Yuan”).

Rudd – uno dei più autorevoli esperti occidentali di politica ed economia cinese – ha parlato di venti contrari nell’economia cinese, definendoli «molteplici, complessi e forti, e in gran parte autoinflitti, a causa di una serie di politiche particolarmente mediocri da parte della leadership cinese».

Sono tre le mosse di Pechino che principalmente hanno contribuito all’attuale fase di profonda incertezza:

1) la campagna del 2021 per il ridimensionamento delle grandi compagnie private di internet, che ha bruciato oltre 1.000 miliardi di dollari di valore azionario e provocato centinaia di migliaia di licenziamenti in un settore che rappresenta circa un terzo del prodotto interno lordo;

2) la strategia “contagi-zero”, che quest’anno ha causato il crollo dei consumi interni e un brusco ridimensionamento delle esportazioni per il blocco dei porti e della logistica, nonché un ulteriore aumento della disoccupazione soprattutto nel settore dei servizi;

3) la guerra scatenata dalla Russia, con la quale la Cina ha una “partnership strategica onnicomprensiva”, che ha provocato un ulteriore incremento dei costi delle materie prime che la Cina importa in gran parte dall’estero.

Sul primo punto ci sono segnali di un allentamento della stretta contro le compagnie di internet, e Rudd ha rilevato un’inversione di rotta della leadership: «L’anno scorso, lo slogan “prosperità comune” era visibile ovunque e sulla bocca di tutti, ma quest’anno è quasi svanito». Sul secondo punto l’ex primo ministro di Canberra sostiene che «sembra che, nonostante i blocchi all’economia e la crescente impazienza e frustrazione della gente, la determinazione di Xi a restare fedele alla sua cosiddetta politica “zero-Covid” rimane invariata». Infine Rudd ha osservato che l’invasione russa dell’Ucraina si è aggiunta alle crescenti sfide che l’economia cinese sta affrontando quest’anno, principalmente attraverso l’impennata dei prezzi globali delle materie prime e l’interruzione delle catene di approvvigionamento.

YUAN, di Lorenzo Riccardi

Ad aprile crollo della manifattura e del retail

Il 16 maggio scorso l’Ufficio nazionale di statistica (Nbs) di Pechino ha pubblicato un report con dati e stime per l’economia cinese. La produzione industriale è rallentata del 3 per cento nel mese di aprile rispetto all’anno precedente, dopo un aumento del 5 per cento registrato nel mese di marzo. Nel primo quadrimestre del 2022 il dato è aumentato complessivamente del 4 per cento anno su anno, ma con una performance inferiore di 2,5 punti percentuali rispetto al primo trimestre.

Le vendite al dettaglio di aprile si sono contratte dell’11 per cento su base annua con un ulteriore calo rispetto al decremento del 3,5 per cento del mese precedente. Gli investimenti in capitale fisso hanno superato i 15mila miliardi di Yuan, crescendo del 6,8 per cento anno su anno, ma in calo del 2,5 per cento rispetto al primo trimestre.

Le importazioni e le esportazioni di beni hanno continuato a crescere nei primi quattro mesi del 2022, sebbene gli scambi siano rallentati con l’Unione europea e i suoi principali partner commerciali. Il valore totale di import ed export aggregato è stato di 12.580 miliardi di yuan, le esportazioni pari a 6.967 miliardi di yuan e il valore delle importazioni è stato di 5.612 miliardi di yuan, con incrementi inferiori rispetto ai periodi pregressi.

Nel complesso, la performance economica di aprile è stata fortemente influenzata dalla pandemia, dal blocco alla mobilità e dai lockdown implementati, con un impatto maggiore sul settore manifatturiero e del retail.

Tre grandi atenei cinesi si ritirano dalle classifiche internazionali

Se l’area nella quale il processo di decoupling (separazione) tra la Cina e l’occidente è più evidente e accentuato è, senza dubbio, quella della tecnologia, anche nel mondo dell’istruzione, dove Pechino sta puntando maggiormente sull’indottrinamento ideologico, si sta allargando il gap tra due mondi sempre più diversi. I media cinesi hanno annunciato il ritiro della prestigiosa Renmin (famosa per le sue facoltà umanistiche, e tra le più legate al partito comunista) e di altre università dalle classifiche internazionali, dopo che Xi Jinping aveva esortato a «sviluppare università di prim’ordine con caratteristiche cinesi». Oltre alla Renim altre due importanti università, la Nanjing University e la Lanzhou University, avrebbero già abbandonato i ranking internazionali.

  • Perché è importante

Il 26 aprile scorso Xi aveva invitato gli atenei a «tracciare un nuovo percorso invece di seguire ciecamente gli altri o semplicemente copiare standard e modelli stranieri». Tradizionalmente le classifiche internazionali hanno avuto una notevole influenza nella scelta da parte degli studenti cinesi su quale università puntare dopo aver passato il gaokao, il severo esame d’accesso che – a seconda del punteggio conseguito – offre al candidato una rosa di atenei tra i quali scegliere. Né la Renmin né la Nanjing né la Lanzhou University erano mai entrate tra le prime 100 posizioni delle più autorevoli classifiche internazionali (tra cui QS World University Rankings e Times Higher Education).

  • Il contesto

Le migliori università della Repubblica popolare cinese secondo i ranking internazionali sono l’Università di Pechino (Beida) e l’Università Tsinghua (anch’essa della capitale) in coabitazione al sedicesimo posto della classifica Times Higher Education e rinomate rispettivamente per gli studi umanistici e quelli scientifici. Mentre le rigide politiche anti-Covid del governo di Pechino terranno a lungo lontani centinaia di migliaia di studenti stranieri (soprattutto gli occidentali) dalle università cinesi, nel febbraio scorso il governo ha scelto 147 università e più di 300 discipline, da scienza e ingegneria alle scienze sociali, che dovrebbero essere sviluppate per diventare “di prima classe ”. I ministeri hanno affermato che gli obiettivi sono quelli di sviluppare i migliori talenti per il paese, aumentare la competitività della Cina a livello internazionale, soddisfare le esigenze strategiche nazionali.

Consigli di lettura della settimana:

Per questa settimana è tutto. Per osservazioni, critiche e suggerimenti potete scrivermi a: exdir@cscc.it

La prossima settimana Weilai sarà in ferie: ci ritroveremo giovedì 2 giugno.

Michelangelo Cocco @classcharacters

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