Il rapporto Aoav: nell’88 per cento dei casi i presunti abusi commessi dall’esercito israeliano tra Gaza e Cisgiordania negli ultimi due anni non hanno portato ad alcuna conseguenza concreta. Solo un evento ha portato a una condanna penale contro un riservista accusato di torture in un carcere israeliano
Dal 7 ottobre 2023 a oggi più volte l’esercito israeliano ha ammesso che le sue truppe hanno commesso errori sul campo di battaglia: l’ultimo caso – di una lunga serie – risale all’attacco partito da un carro armato contro il tetto della chiesa della Sacra Famiglia a Gaza che ha causato tre morti e dieci feriti. Chi viene considerato responsabile degli errori? Che fine fanno le indagini interne per accertare che siano stati commessi volontariamente o meno crimini di guerra? Chi paga? Una prima risposta a queste domande viene dal report pubblicato dall’organizzazione Action on Armed Violence (Aoav), una ong britannica specializzata nell’analisi dei conflitti armati.
Secondo lo studio pubblicato lo scorso 2 agosto, nell’88 per cento dei casi i presunti abusi commessi dall’esercito israeliano tra Gaza e Cisgiordania negli ultimi due anni non hanno portato ad alcuna conseguenza concreta.
Nessuna imputazione, condanna o almeno spiegazione che giustifichi gli errori commessi da parte di una forza armata considerata tra le più sofisticate e forti al mondo. Secondo il report le indagini sono partite, almeno su un piano formale, ma poi nella sostanza sono rimaste sospese, chiuse per motivazioni poco trasparenti o semplicemente lasciate in un cassetto a marcire.
Aoav ha analizzato 52 casi di possibili crimini e abusi commessi tra l’ottobre 2023 e il giugno del 2025. Sono episodi che hanno causato almeno 1.303 morti e quasi duemila feriti palestinesi. In alcuni casi ci sono anche accuse documentate di torture, attacchi deliberati contro civili, operatori sanitari e infrastrutture umanitarie.
Dei 52 episodi presi in considerazione solo in sei casi (12 per cento) sono stati ammessi errori. Di questi, solo uno ha portato a un esito punitivo che ha comportato una sanzione legale. Tre degli incidenti hanno portato al licenziamento o al rimprovero degli ufficiali. Sette casi (13 per cento) sono stati chiusi con l'accertamento di nessuna violazione. I restanti 39 (75 per cento) rimangono «in fase di revisione» o non hanno un esito ufficiale.
Una sola condanna
L’unico caso di condanna penale ha riguardato un soldato riservista, coinvolto in violenze commesse contro detenuti palestinesi nel carcere israeliano di Sde Teiman. Il militare è stato punito con sette mesi di detenzione.
Altri cinque episodi documentati hanno portato a provvedimenti disciplinari come sospensioni o trasferimenti. Sette indagini si sono concluse «senza colpevolezza», mentre trentanove sono ancora “aperti” o non hanno prodotto alcun risultato.
Tra questi c’è la strage avvenuta nel febbraio del 2024 a Gaza City, dove oltre cento persone sono state uccise mentre attendevano in fila il cibo. Oppure quello avvenuto nel maggio dello stesso anno a Rafah, nel sud della Striscia, quando un raid aereo uccise 45 civili, molti dei quali dormivano nelle tende.
Il caso più emblematico è avvenuto il 23 marzo del 2025 quando le truppe israeliane hanno attaccato un convoglio sanitario e ucciso quindici operatori sanitari. Inizialmente l’esercito aveva detto pubblicamente che il convoglio non era segnalato, ma un’inchiesta del New York Times aveva dimostrato attraverso video e immagini girati dagli stessi operatori che non era così. E così, dopo un’indagine interna l’Idf ha concluso che si è trattato di un «errore di interpretazione». Il comandante responsabile è stato destituito, ma nessuna imputazione legale è seguita dopo l’accertamento dei fatti.
Situazione simile avvenuta per l’attacco dell’aprile del 2024 in cui sono stati uccisi sette operatori umanitari della ong World Central Kitchen. Le vittime provenivano da Australia, Regno Unito, Polonia e Palestina. I veicoli su cui viaggiavano erano contrassegnati e i loro spostamenti erano condivisi con l’esercito israeliano, ciò nonostante sono stati attaccati. Per l’Idf si è trattato di un «grave fallimento». Per ora il risultato è stato il licenziamento di un colonnello e di un maggiore.
Senza indipendenza
A contribuire all’impunità è anche la conformazione dell’attuale sistema giudiziario militare. Secondo Aoav e altre ong israeliane è assente un meccanismo indipendente. Le stesse Forze di Difesa Israeliane si occupano di indagare su sé stesse. I meccanismi interni – come il cosiddetto Fact-Finding Assessment – funzionano più come strumenti di gestione del rischio reputazionale che come percorsi reali di accertamento dei fatti. Ciò che emerge è un sistema che ha imparato a proteggere sé stesso e a fare da scudo alle accuse provenienti da più parti.
La stessa Commissione Onu per i Diritti umani ha annunciato che a Gaza sono in corso crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Tra le accuse più gravi: uso della fame come strumento di guerra, bombardamenti deliberati su civili, trasferimenti forzati, detenzioni arbitrarie e torture, persecuzione su base di genere, violenze sessuali e distruzione sistematica di infrastrutture civili. La Commissione ha raccolto più di 7.000 prove, già trasmesse alla Corte penale internazionale che proprio lo scorso anno ha emesso dei mandati di arresto nei confronti dei leader di Hamas (ora tutti deceduti), del premier Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Yoav Gallant.
Non è la prima volta che accade. Nei precedenti conflitti avvenuti a Gaza sono state presentate 664 denunce per possibili crimini commessi dall’esercito. Di queste, 542, cioè oltre l’80 per cento, sarebbero state archiviate senza un’indagine penale. In 19 casi sono stati avviati procedimenti che hanno portato solo a un’incriminazione. Il tasso di procedimenti penali è pari allo 0,17 per cento.
© Riproduzione riservata



