Nel nostro immaginario, le foto satellitari di teatri di guerra sono materiale top secret. Riservato ai ranghi più elevati dell’esercito e del governo, che lo analizzano all’interno della Situation room della Casa Bianca o dell’Unità di crisi della Farnesina. Tutto questo, ovviamente, succede ancora. Contemporaneamente, però, una moltitudine di appassionati svolge con il proprio computer un lavoro di intelligence amatoriale, sfruttando le immagini satellitari vendute – o a volte diffuse gratuitamente – da un numero in continua crescita di società satellitari private che monitorano costantemente il nostro pianeta.

Da qualche tempo, questi occhi tecnologici di proprietà privata sono puntati soprattutto sull’Ucraina. E così, quando ancora il parlamento russo non aveva autorizzato le azioni militari decise da Vladimir Putin – e mentre l’addetto stampa del Pentagono John Kirby affermava che l’invasione dell’Ucraina «poteva ancora essere evitata» – una miriade di appassionati sparsi per il mondo osservava dall’alto i movimenti delle forze russe e si rendeva conto in autonomia di come le cose stessero in realtà precipitando.

Il 24 febbraio, prima che Putin annunciasse la sua “operazione speciale militare”, Jeffrey Lewis, docente al californiano Middlebury Institute, aveva segnalato su Twitter che le immagini satellitari della società di San Francisco Capella Space – liberamente acquistabili da chiunque – mostravano come nell’area di confine di Belgorod, in Russia, i carri armati dell’esercito di Mosca fossero disposti in formazione a colonne e quindi probabilmente “pronti all’azione”.

Tenendo d’occhio quell’area, il giorno dopo Lewis si era subito accorto del fatto che Google maps segnalasse traffico per 40 chilometri sulla strada che da Belgorod porta verso l’Ucraina. L’ingorgo non era causato da qualche incidente, ma dai carri armati russi in marcia.

Le società satellitari

Jeffrey Lewis non è certo l’unico appassionato che utilizza immagini satellitari liberamente consultabili per le sue analisi militari. Lo stesso fanno account di Twitter come Conflict News (450mila followers), fondato in Galles da Kyle Glen, e parecchi altri membri di quella che viene chiamata “open source intelligence community”: una comunità di appassionati dilettanti, ma che nel conflitto in Ucraina sta per la prima volta giocando un ruolo tutt’altro che trascurabile.

Considerando che la prima foto satellitare è stata scattata nel 1959 e che i social media vengono utilizzati per seguire i momenti di crisi da oltre un decennio, che cos’è cambiato adesso? È stato proprio Kyle Glen a spiegare alla Bbc come durante altri recenti conflitti – compreso quello in Siria – la quantità di materiale satellitare disponibile fosse “una goccia nell’oceano” rispetto a quello che da un giorno all’altro è diventato alla portata di tutti.

Da una parte, quindi, c’è l’espansione delle società satellitari commerciali specializzate nel campo della “intelligence geospaziale”, come Capella Space, Planeta, Maxar (la più nota di tutte), BlackSky, la finlandese Iceye o Skywatch; che guadagnano fornendo informazioni a governi, eserciti, e anche a tutte le realtà private interessate a seguire, per esempio, il movimento delle navi cargo, la diffusione dei raccolti, lo svilupparsi di incendi o altro ancora.

Dall’altra, c’è l’enorme attenzione rivolta alla guerra in Ucraina, che secondo le stime avrebbe portato sopra i cieli di Kiev, Mariupol e Donetsk oltre cinquanta satelliti.

Qualunque appassionato può quindi procurarsi immagini ad altissima risoluzione, in grado di catturare anche dettagli di poche decine di centimetri, per cifre che si aggirano attorno ai dieci dollari per chilometro quadrato.

Inoltre, la possibilità di programmare i satelliti affinché monitorino la stessa posizione più volte nel corso di 24 ore permette di rilevare anche piccoli cambiamenti e notare, per esempio, se delle truppe si stanno preparando all’azione.

Le immagini contano

Informazioni di questo tipo sono incredibilmente utili proprio agli eserciti che non hanno accesso a una sofisticata rete di satelliti. Non stupisce, di conseguenza, che agli inizi di marzo il vice premier ucraino Mykhailo Fedorov abbia richiesto a svariate aziende satellitari di condividere con il suo esercito le immagini raccolte: «Abbiamo disperatamente bisogno di osservare i movimenti delle truppe russe», ha affermato.

«È la prima grande guerra in cui le immagini satellitari disponibili a livello commerciale possono giocare un ruolo significativo nel fornire informazioni relative ai movimenti delle truppe, alla concentrazione militare, al flusso dei rifugiati e altro ancora».

Almeno cinque società avrebbero risposto all’appello di Fedorov, tra cui proprio Capella space, il cui amministratore delegato Payam Banazadeh ha dichiarato alla Afp: «Stiamo lavorando direttamente con il governo ucraino e quello statunitense, come anche altre realtà commerciali, per fornire assistenza e dati tempestivi sul conflitto in corso».

Ed è probabilmente anche grazie a un supporto di questo tipo che l’esercito ucraino è riuscito a ridurre la distanza che lo separa da quello russo.

«Le nazioni usano da decenni i satelliti per spiare i nemici, ma i progressi tecnologici li hanno resi sempre più piccoli, economici e dalle prestazioni superiori, oltre a metterli in mano ai privati», ha spiegato il Washington Post. Se non bastasse, oggi i satelliti non richiedono nemmeno più la luce del giorno e i cieli limpidi per poter scattare le loro immagini.

Cosa offrono le aziende

Capella space, per esempio, utilizza per le sue riprese la tecnologia del radar ad apertura sintetica (Sar), che invia onde radio e misura il modo in cui i segnali vengono restituiti per generare delle immagini accurate.

La statunitense BlackSky invia invece ai clienti non solo le immagini satellitari, ma anche un software basato su intelligenza artificiale che aiuta loro a interpretarle. Altre, come Maxar – considerata la società pioniera di questo campo – hanno concentrato una parte significativa delle loro operazioni sull’Ucraina fornendo gratuitamente enormi quantità di immagini alle testate giornalistiche di tutto il mondo.

Questo materiale non viene però raccolto appositamente per informare l’opinione pubblica: sul sito di Maxar, si legge infatti che la società fondata in Colorado fornisce attualmente «il 90 per cento dell’intelligence geo spaziale utilizzata dal governo statunitense a fini di sicurezza nazionale» (per cui riceve da un ufficio della Difesa 300 milioni di dollari l’anno) e collabora con altri 50 governi in tutto il mondo.

Come spiega New Republic, Maxar è stata costituita nella sua forma attuale (sorta nel 2017 in seguito a varie fusioni) con in mente le necessità del governo statunitense e dei suoi alleati, che non sono soltanto consumatori passivi delle immagini prodotte dalla società, ma spesso la incaricano di rivolgere l’attenzione dei satelliti nei luoghi di loro interesse.

A differenza delle riprese dei satelliti governativi (che non sono liberamente consultabili), una volta scattate e archiviate queste immagini sono però accessibili a tutti.

Analisti amatoriali

Tutto ciò, non significa che qualunque appassionato possa effettuare analisi di intelligence affidabili basandosi sulle sole immagini satellitari. Come ha spiegato alla Cnn l’ex generale Mark Hertling, «per gli analisti militari, le immagini satellitare sono uno dei tanti segnali», assieme alle informazioni che giungono direttamente dal luogo, alle riprese degli aerei spia, al lavoro degli agenti sul posto e altro ancora. Senza queste informazioni, è impossibile avere il quadro completo della situazione.

Non solo: il rischio corso dagli analisti amatoriali, e dai mass media che pubblicano le immagini fornite gratuitamente da Maxar, è di essere vittima di un’informazione parziale, in cui una società che ha nel governo statunitense il suo principale cliente, e di cui spesso obbedisce alle indicazioni, fornisce materiale fotografico meno oggettivo di quanto possa sembrare.

«Maxar non mostra al pubblico i movimenti delle truppe statunitensi, ma diffonde invece frequentemente immagini relative ad avversari degli Stati Uniti come Cina o Iran», scrive ancora New Republic. «Il risultato è una visione geopolitica asimmetrica».

Ci sono altri aspetti ambigui da prendere in considerazione: «Società private come Maxar o Planet hanno l’ultima parola su cosa vogliono o meno diffondere al pubblico», ha spiegato Anuradha Damale del Security Information Council britannico. «Ci fidiamo di come queste aziende agiranno in ogni conflitto, considerando che potrebbero avere dei contratti militari con delle nazioni direttamente coinvolte?».

Abituarsi ad accettare a scatola chiusa questo materiale, come se fosse necessariamente neutro (e non dipendesse invece da chi è stato commissionato, da cosa ha rilevato e cosa ha invece tralasciato), rischia insomma di assottigliare ulteriormente il confine tra informazione e propaganda.

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