A Boris Johnson è voluto un po’ di tempo per capire che fosse ormai impossibile rimanere dopo le decine di dimissioni tra i conservatori. La competizione per subentrarne alla guida del partito, e a Downing Street, è partita ben prima del suo discorso dove annunciava il suo passo indietro come leader, ma non come premier.

Chiunque verrà eletto come suo successore oltre a dover guidare il Regno Unito nelle crisi a livello nazionale e internazionale, come l’aumento dell’inflazione o la guerra in Ucraina, dovrà affrontare nodi che riguardano solo la Gran Bretagna. In primis le istanze indipendentiste di Scozia e Irlanda del Nord che minano l’unità del Regno e che negli ultimi mesi, sotto la leadership di Boris Johnson, hanno avuto - per vari motivi - sviluppi diversi. A essere uguali, invece, sono state le reazioni di Edimburgo e Belfast che hanno accolto con favore le sue dimissioni.

L’indipendenza della Scozia

La premier scozzese Nicola Sturgeon ha dichiarato di essere sollevata» dalla scelta di Johnson, che però ha definito anche una «farsa» e una «soap opera», visto anche «il caos e la completa mancanza di integrità che ha caratterizzato la premiership di Boris Johnson». Un attacco duro, prevedibile visti i trascorsi - anche recenti - tra i due leader. Sturgeon, infatti, il 28 giugno scorso ha presentato un progetto di legge per indire un nuovo referendum consultivo sull’indipendenza della Scozia il 19 ottobre del 2023. Un’opzione che Johnson ha rigettato proprio il giorno prima di dimettersi, con una lettera inviata a Edimburgo in cui spiegava come quella scozzese fosse una questione chiusa dopo il voto del 2014. L’ennesimo “no” al referendum è quindi l’ultimo atto ufficiale di BoJo da leader dei conservatori inglesi.

Per Sturgeon il problema però non consiste solo in Johnson, che reputa inadatto a svolgere il ruolo di primo ministro ad interim. Contrastare l’indipendenza scozzese sarà infatti il compito di chiunque emergerà nella lotta per la leadership conservatrice inglese, che sia Ben Wallace, Rishi Sunak, Liz Truss, Dominic Raab o altri. La 51enne Sturgeon accusa l’intero sistema di Westminster di essere rotto, non rappresentando più gli interessi di Edimburgo, perché «la Scozia non sceglierebbe nessuno di queste persone per essere primo ministro».

Sturgeon è consapevole di aver accelerato, ha messo pressione a Londra con la richiesta esplicita di un nuovo referendum, che dovrà essere giudicata dalla Corte suprema britannica. In questi tre anni, però, Johnson è stato un facile bersaglio delle critiche dello Scottish national party sia per i suoi atteggiamenti e scandali che per le sue politiche nei confronti della Scozia. Una tattica che ha permesso allo Snp di Sturgeon di aumentare i consensi interni, salendo al governo. Tuttavia, il prossimo premier sarà più credibile di BoJo e quindi meno attaccabile, e lo scontro con Londra potrebbe non volgere a favore degli indipendentisti di Edimburgo.

L’eredità in Irlanda del Nord

Se c’è un successo da attribuire a Boris Johnson è quello di aver messo d’accordo i nazionalisti e gli unionisti in Irlanda del Nord sulla sua uscita di scena: entrambe le comunità, infatti, l’hanno accolta con soddisfazione. Ma nell’isola, sia nel nord che nella Repubblica a sud, la priorità è la gestione della Brexit.

La leader dello Sinn féin, Michelle O’Neill, fresca vincitrice alle elezioni, ha accusato Johnson di aver tentato di sabotare gli accordi di pace e il progresso nella regione. Mentre la presidente del partito nazionalista, Mary Lou McDonald, ha ribadito come l’approccio di BoJo con l’Irlanda sia stato del tutto negativo: «Quando si tratta del nord, la sua priorità è sempre stata quella di placare il Dup».

Ma anche il Democratic unionist party, principale partito unionista in Nord Irlanda, ha sottolineato gli errori di Johnson, specie dopo l’uscita britannica dall’Unione europea. «Non è un segreto che credevamo che Boris Johnson avesse il dovere di sbarazzarsi del confine nel mare d’Irlanda - ha spiegato il leader Jeffrey Donaldson - essendo andato disastrosamente contro il nostro consiglio e firmato un accordo di recesso contenente il protocollo».

Sì, perché il protocollo è diventato il fattore più destabilizzante in Irlanda del Nord. È la clausola presente negli accordi tra Londra e Bruxelles, firmati dallo stesso Johnson, che ha posto un confine nel mare che separa l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito. Le navi piene di merci, infatti, devono essere controllate nei porti nordirlandesi per evitare che i beni provenienti dal Regno Unito entrino liberamente nel mercato unico europeo tramite la frontiera tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord. Un controllo “preventivo”, per evitare un confine rigido tra Belfast e Dublino che riporterebbe indietro la regione di decenni, osteggiato però dai lealisti.

A causa di questo protocollo, voluto anche da Johnson per tentare di chiudere l’affare Brexit, gli unionisti non vogliono entrare in un nuovo esecutivo nordirlandese (che deve essere condiviso con i nazionalisti secondo quanto prevede il Good Friday Agreement). La regione quindi è bloccata. Per venire incontro ai lealisti, Johnson ha proposto di modificare unilateralmente gli accordi stretti con l’Ue, provocando la rabbia di Bruxelles. Sembra difficile che i colloqui tra Regno Unito e Ue possano migliorare, anche con un suo successore. Dalle parti di Bruxelles è forte la volontà di intransigenza, come dimostrato da Manfred Weber, leader del Partito popolare europeo: «Qualunque cosa accada, l'Ue deve insistere sulla piena attuazione del protocollo nordirlandese. Non ci sono opportunità da Brexit, solo costi». Ma il Dup continuerò a spingere per far saltare del tutto il protocollo, dietro la minacciosa pressione degli unionisti più radicali pronti nuovamente a causare violenze.

McDonald ha auspicato un cambiamento: «Il prossimo premier deve cambiare rotta, lavorare per ripristinare le istituzioni del nord e riconoscere il primato del diritto internazionale». Ma la strada sembra in salita e il periodo tradizionalmente più denso di disordini in Irlanda del Nord, ovvero l’estate, è arrivato.

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