Per Dmitrj Medvedev, l’ex presidente della Federazione russa e attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza, gli occidentali sono «bastardi e imbranati», perché «vogliono la nostra morte, quella della Russia». «Finché sono vivo, farò di tutto per farli sparire», ha concluso nel suo ormai noto sproloquio su Telegram.

Nelle ultime settimane Medvedev ha usato toni sempre più duri verso gli Stati Uniti, l’Europa e l’occidente. Ma c’è stato un periodo in cui Medvedev era molto apprezzato dalle parti di Washington, che potenzialmente lo considerava la figura politica russa necessaria a un riavvicinamento tra la Federazione e gli Stati Uniti.

I ricordi di Obama

Barack Obama lo ha anche scritto nella sua autobiografia: a seguito di alcuni incontri avuti con lui a partire dal G20 di Londra del 2009, considerava Medvedev «un alleato affidabile». In fondo lo stesso presidente russo di allora «espresse entusiasmo» per la proposta americana del cosiddetto “reset”, una ripartenza delle relazioni tra Russia e Stati Uniti: si era mostrato «disponibile a impegnarsi con franchezza e flessibilità» nei confronti degli Usa sulla questione della proliferazione nucleare iraniana e aveva presentato «un’offerta spontanea (e senza precedenti) di consentire l’uso dello spazio aereo russo all’esercito americano per trasportare truppe ed equipaggiamento in Afghanistan».

Tutti segnali a vantaggio di Washington che l’amministrazione Obama, per sua stessa ammissione, aveva accolto ben volentieri. 

D’altronde erano dichiarazioni che provenivano da un politico che Obama definiva «giovane, che aveva fama di avere idee relativamente progressiste e filo occidentali», nonostante in quel periodo fosse già evidente il ruolo preponderante di Vladimir Putin.

Ma Obama racconta come ci fosse la possibilità che Putin lasciasse che «una nuova generazione di dirigenti riportasse la Russia sul cammino richiesto per diventare una legittima democrazia moderna». E Medvedev era tra quei dirigenti, nella testa del presidente americano.

In una cena privata con lui, sempre nel 2009, anno in cui Obama si recò a Mosca sotto invito dello stesso Medevedv, l’ex presidente americano racconta che il russo «era affascinato da Internet e fece un sacco di domande sulla Silicon Valley, esprimendo il desiderio di promuovere il settore tecnologico russo». 

Gli argomenti discussi a tavola furono tutto fuorché di politica internazionale. I due parlarono «di aneddoti sulle rispettive esperienze come professori di diritto» e Medvedev «confessò un debole per gruppi hard rock come i Deep Purple». Più una serata tra amici che un incontro tra capi di stato.

Tanto che Obama, di ritorno dalla cena, pensò: «Io e Medvedev avevamo molte cose in comune: entrambi avevamo studiato e insegnato diritto, ci eravamo sposati e avevamo avuto dei figli subito dopo, avevamo cominciato a occuparci di politica ed eravamo stati consigliati da politici più anziani e navigati di noi». Solo il paese di origine era diverso.

Entrambi, in quel periodo, si sentivano liberi anche di pubblicare foto ufficiali che li ritraevano insieme e sorridenti in contesti diversi. Immagini rese poi celebri, come quella mentre mangiano un hamburger uno di fronte all’altro in un fast food o mentre chiacchierano dentro una limousine. 

Per stessa ammissione di Obama «il rapporto personale con Medvedev si era dimostrato decisivo» in più di un occasione, come nel caso dell’approvazione delle sanzioni ai danni dell’Iran.

In generale, quindi, fu decisivo per avere relazioni più distese tra Washington e Mosca. Emblematica la firma del trattato New Start sulla riduzione delle testate nucleari dei due paesi avvenuta nel 2010 tra i due presidenti.

Medvedev, come riportato negli scritti di Obama, «si dimostrava disposto a rischiare la propria presidenza per un rapporto più stretto con gli Stati Uniti», e Obama lo reputava «un segnale promettente».

Il timore che serpeggiava tra i corridoi della Casa Bianca era però uno. «Sempre che Putin non gli seghi le gambe prima», fu il commento fatto a Obama dal suo capo di gabinetto Rahm Emanuel. Putin era pronto a stroncare gli sforzi, o presunti tali, filo occidentali di Medvedev. Anche perché tra i due leader russi erano cominciati a esserci dissidi sia pubblicamente che in privato.

Il dietrofront

Da quel periodo, quando Obama si fidava di Medvedev, sono passati più di dieci anni. Il russo non è più presidente dal 2012, quando ha lasciato il proprio posto allo stesso Putin, ed è stato primo ministro fino al 2020. Una carica in realtà oscurata sempre più da Putin.

La guerra scatenata da Mosca ai danni dell’Ucraina ha portato gli oligarchi e i più alti dirigenti russi a serrare i ranghi, sia per venire incontro all’interesse nazionale sia per non rischiare di essere esclusi, estromessi o peggio, dal cerchio ristretto di Putin.

A meno di (possibili) abbagli di Obama e dei suoi consiglieri, è un ragionamento che anche Medvedev sembra aver fatto visto che - sarà un caso - ormai da più di tre mesi ha cambiato completamente registro, non perdendo occasione per sferrare attacchi alle democrazie occidentali sul suo canale Telegram. Anche se forse tra un’accusa e una minaccia verso i “bastardi” occidentali, trova ancora il tempo di ascoltare un po’ i Deep Purple.

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