I leader cinesi sono riemersi dal ritiro di Beidaihe, la località balneare 300 chilometri a est di Pechino dove, nel mese di agosto, si ritrovano in segretissime riunioni informali nelle quali i vertici in carica del partito comunista si confrontano con quelli pensionati rimasti influenti sulla linea da seguire. Nell’attesa che l’Ufficio politico, nella riunione prevista per la fine del mese, affronti la complessa situazione economica del paese e ufficializzi le date del XX congresso, Xi Jinping e Li Keqiang questa settimana si sono rimessi in moto con due ispezioni altamente simboliche. Il segretario generale si è recato nella provincia del nord-orientale del Liaoning, il premier e numero due del Pcc in quella meridionale del Guangdong. Xi non esce dalla Cina da due anni e mezzo (venerdì è stata confermata la sua presenza al vertice del G20 del 15-16 novembre in Indonesia, dove potrebbe incontrare il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden), ma non ha mai interrotto i viaggi all’interno della Cina, soprattutto nelle aree più povere, rafforzando la sua immagine di “leader del popolo”.

Nel Liaoning dell’industria pesante e delle miniere Xi ha reso omaggio al memoriale della campagna di Liaoshen (settembre-novembre 1948), dove ha incontrato veterani e parenti delle famiglie dei “martiri” della battaglia nella quale i maoisti riportarono la prima grande vittoria contro i nazionalisti costretti poi a riparare a Taiwan alla fine della guerra civile.

Il presidente cinese ha ricordato che il popolo del nord-est diede «un enorme contributo anche a resistere all’aggressione statunitense, aiutando la Corea» (nella guerra del 1950-1953). Xi ha avvertito che «non permetteremo a nessuno di sovvertire la natura socialista del nostro paese» e ha fatto appello al patriottismo, che in tempi di crisi può diventare un efficace collante tra partito e popolo, che «fin quando respirano la stessa aria e condividono lo stesso destino, possono trionfare su qualsiasi difficoltà».

C’è da scommetterci: con gli ex partner occidentali diventati avversari e in una fase di prolungata incertezza per l’economia nazionale, il XX congresso rilancerà sull’orgoglio nazionale, sul rafforzamento del Pcc, della sua leadership e della sua capacità di mantenere la stabilità sociale.

Tencent e Alibaba licenziano

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Mentre le varianti di Omicron rialzano la testa (3.424 i casi registrati giovedì scorso, record degli ultimi tre mesi) e le misure di contenimento continuano a imbrigliare l’economia, Xi (che ha apposto il suo imprimatur alla politica “contagi zero”) ha ribadito la necessità di «bilanciare gli imperativi dello sviluppo e della sicurezza» nella lotta contro il Sars-CoV-2.

Xi ha insistito sulla strategia del “benessere comune”(gòngtóng fùyù), illustrata per la prima volta esattamente un anno fa e destinata a essere rilanciata dal XX congresso. Il “benessere comune” risponde all’esigenza di «rafforzare le basi per il governo a lungo termine del partito» riducendo le disuguaglianze tra classi sociali, città e aree rurali, tra le ricche province costiere e quelle ancora sottosviluppate dell’interno.

Sperequazioni che hanno accompagnato lo sviluppo del “socialismo di mercato” e che si sono acuite durante la pandemia. Il “benessere comune” non è partito nel migliore dei modi. Il ridimensionamento (economico, finanziario, ideologico) dei colossi nazionali di internet ha prodotto finora più danni che vantaggi.

Tencent ha fatto registrare nel secondo trimestre un calo del tre per cento del fatturato, il primo dal 2014. La compagnia che ha inventato WeChat (il passe-partout elettronico utilizzato da tutti i cinesi), ha licenziato 5.500 dei suoi 116mila dipendenti, tagliato stipendi e benefit aziendali.

Alibaba ha ridotto la sua forza lavoro di diecimila impiegati. Il mese scorso la disoccupazione giovanile ha fatto registrare il record assoluto del 19,9 per cento. Con la stretta regolatoria del governo che l’ha colpito durante la pandemia, il settore di internet (un terzo circa del Pil) ha incassato un micidiale uno-due.

Gli ultimi dati economici hanno segnalato che il terzo trimestre potrebbe non essere quello della ripresa, dopo che nel secondo il Pil è cresciuto solo dello 0,4 per cento, in parte in conseguenza del blocco dell’hub commerciale di Shanghai a causa delle misure anti Covid.

Hanno deluso soprattutto la produzione industriale e i consumi, rispettivamente +3,8 e +2,7 per cento a luglio, in entrambi i casi ben al di sotto delle aspettative. Eppure proprio la produzione, la circolazione e il consumo interni rappresentano il pilastro della strategia della “doppia circolazione” lanciata da Xi, che punta alla riduzione della dipendenza dall’estero che dovrebbe essere favorita dallo sviluppo del mercato interno. Le statistiche dicono però che negli ultimi mesi la Cina è cresciuta sempre più grazie al commercio internazionale e sempre meno per i consumi interni.

I consumi non crescono

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Lunedì scorso, nel tentativo di stimolare l’economia la Banca centrale ha tagliato di dieci punti base gli interessi sui prestiti a medio termine per le banche. Ai governi locali è stato consentito di emettere obbligazioni per complessivi 230 miliardi di dollari, per favorire nei prossimi mesi gli investimenti infrastrutturali.

Soprattutto i consumi interni, ma anche il mercato immobiliare, continuano a essere frenati dall’incertezza causata dalla politica “contagi zero” – dai suoi lockdown “selettivi” e dalle sue limitazioni agli spostamenti interni – alla quale Xi non intende rinunciare: è il classico cane che si morde la coda.

Il surplus commerciale record del mese scorso (101 miliardi di dollari, con l’export cresciuto del 18 per cento) riflette una ripresa della domanda post pandemia di prodotti cinesi da parte delle principali economie. Una bonanza in via d’esaurimento, dal momento che per i prossimi mesi è atteso un rallentamento della crescita globale.

Il polo industriale

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Nella speranza che dalla riunione dell’Ufficio politico vengano indicazioni più precise su come favorire la crescita, Li Keqiang si è recato nel Guangdong, la roccaforte industriale dall’avvio della stagione di “riforma e apertura” della fine degli anni Settanta sulla quale si punta anche per la prossima fase di sviluppo della Cina, quella dell’agognato catch-up con le economie avanzate.

Li ha visitato una serie di aziende, tra le quali il colosso dell’elettronica Huawei e quello dell’automotive BYD. A Shenzen il premier (che con il prossimo congresso lascerà la politica per raggiunti limiti di età) si è recato nel parco della Collina di loto per rendere omaggio alla statua di Deng Xiaoping, che nel 1979 istituì in tre città della provincia (Shenzhen, Zhuhai e Shantou) e a Xiamen (nel Fujian) le prime quattro zone economiche speciali che aprirono la Cina al capitale straniero e alle esportazioni.

Un modo molto simbolico per sottolineare che il paese – nonostante il controllo promosso da Xi anche sulle aziende private – resta aperto agli investimenti e al commercio con l’estero. In un incontro con i leader del Guangdong e (in videoconferenza) con i segretari di partito del Jiangsu, dello Zhejiang, dello Shandong, dello Henan e del Sichuan (le provincie che producono più Pil), Li ha esortato le autorità a fare pieno uso delle politiche del governo per stabilizzare l’economia e garantire l’occupazione dei 340 milioni di lavoratori migranti, un terzo della forza lavoro complessiva. «Il nostro governo fornirà fondi senza interessi, che sarete in grado di riguadagnare», ha promesso Li. Basterà?

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