Classe 1945, Ehud Olmert è stato sindaco di Gerusalemme per dieci anni, ha servito in diversi governi ed è stato premier dal 2006 al 2009. Oggi è una delle voci più critiche del governo Netanyahu. «Non possiamo accettare di esercitare il controllo su Gaza senza volerci assumere la piena responsabilità di provvedere in modo completo e globale ai bisogni umanitari. Non si può avere la torta e mangiarsela allo stesso tempo», racconta a Domani.

Dopo il 7 ottobre Netanyahu aveva annunciato che l’obiettivo della guerra era “annientare Hamas”. A distanza di circa 21 mesi e con Gaza in macerie qual è l’obiettivo militare?

Netanyahu continua a dire che lo scopo è annientare Hamas, o più precisamente ottenere una vittoria totale. Secondo me, abbiamo già raggiunto il massimo risultato possibile. Hamas è ormai distrutto come forza militare: gran parte della sua leadership è stata eliminata, i tunnel, i lanciarazzi, le postazioni di comando e i razzi sono stati distrutti. Quel che resta sono solo piccoli gruppi che potrebbero ancora tendere qualche agguato alle unità israeliane a Gaza. La guerra può fermarsi qui.

Qual è il principale errore di Netanyahu?

L’errore principale è che fin dall’inizio non ha mai offerto alcun orizzonte politico, nessun programma per il giorno dopo, nessuna strategia chiara. Non si capisce quale sia l’obiettivo finale, quanto ancora vogliano continuare e a quale costo. Negli ultimi mesi abbiamo già perso 35 soldati israeliani, le vite degli ostaggi sono in pericolo, molti palestinesi estranei al conflitto sono stati uccisi. E tutti si chiedono: “Ok, e poi? Dove vogliamo arrivare?”. E non ci sono risposte.

Il numero dei morti civili aumenta ogni giorno. L’Idf è uno degli eserciti più all’avanguardia e continua ad ammettere errori. Come è possibile?

Sta combattendo contro un nemico che si nasconde nelle aree urbane più densamente popolate al mondo. Era evidente fin dall’inizio che, nonostante la tecnologia sofisticata, sarebbe stato impossibile evitare danni collaterali. Già un anno fa bisognava fermarsi, perché il numero di vittime nella popolazione civile non è giustificabile rispetto agli obiettivi militari che vogliamo raggiungere. Se anche la metà dei morti fossero combattenti di Hamas, restano comunque 30mila civili ed è troppo. In questa vita a volte si arriva a un punto in cui la saggezza dovrebbe imporre un limite, tracciare una linea.

In questi giorni si parla di realizzare una “città umanitaria” a Rafah.

Questa è un’idea scandalosa e inaccettabile. In pratica significherebbe deportare un gran numero di persone che vivono nella parte meridionale di Gaza, cancellando un’ampia porzione del territorio. È inaccettabile. So che anche il comando supremo dell’esercito ritiene che non sia un’idea praticabile e che l’esercito non sarà in grado di realizzare questo progetto.

In Cisgiordania sono stati uccisi più di 964 palestinesi dal 7 ottobre, senza contare la violenza dei coloni con la collusione delle forze di sicurezza israeliane.

Il nemico più pericoloso è quello interno e in questo caso sono le milizie private dei coloni estremisti in Cisgiordania. Agiscono in un’area sotto pieno controllo israeliano e lo Stato deve prendersi la responsabilità delle loro azioni. La polizia, ora guidata dal governo nazional-religioso sembra chiudere gli occhi e lasciare che queste forze distruggano il tessuto morale di Israele.

Con l’uscita dal governo di United Torah Judaism il governo rischia di cadere?

No, non credo. A breve la Knesset andrà in pausa per tre mesi, durante i quali non possono essere presentate mozioni di sfiducia. Pur avendo un appoggio più esiguo in parlamento, non essendoci votazioni il governo resterà in carica fino a ottobre. Solo al ritorno si vedrà se riusciranno a trovare un accordo sulla legge di esenzione per gli ultraortodossi dal servizio militare; in caso contrario non credo che si andrà a voto prima di marzo 2026.

Se si andasse a elezioni anticipate, esiste un’alternativa all’attuale coalizione di estrema destra?

I sondaggi mostrano che l’attuale coalizione non gode della maggioranza nell’opinione pubblica: raccoglierebbe solo 49-50 seggi su 120. Questo indica la debolezza del governo in caso di elezioni anticipate. Chi vincerebbe? È difficile dirlo e l’atmosfera in Israele è troppo volatile per fare previsioni.

Qual è la sua visione sul futuro di Gaza?

Gaza dovrà far parte di uno stato palestinese. Ora dobbiamo fermare la guerra perché non c’è altro modo per riportare indietro gli ostaggi, sia quelli vivi sia quelli già uccisi: ne abbiamo ancora una cinquantina. Poi, credo che ci debba essere una forza di sicurezza interna: soldati palestinesi, affiancati da truppe dei nostri paesi arabi alleati oppure, magari, con qualche partecipazione di forze europee che assumano il controllo operativo e tattico di Gaza, per impedire a Hamas di ricostituirsi come forza militare. Dobbiamo assicurarci che Gaza non torni a diventare una base per azioni terroristiche contro Israele. E poi, naturalmente, dovrà essere istituita una nuova amministrazione che sostituisca il governo di Hamas. Essa dovrà essere coordinata con l’Autorità Palestinese ma avere un’autorità esecutiva indipendente, con pieni poteri per iniziare la ricostruzione di Gaza come luogo vivibile.

Crede che Israele potrà mai riconoscere uno Stato palestinese?

Sicuramente non questo governo. Il mio, nel 2008–2009, propose un piano di pace basato sui confini del 1967, ma Mahmoud Abbas rifiutò, un errore storico gravissimo.

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A Gaza è in corso un genocidio?

Non c’è un genocidio. Ci sono stati crimini, è incontestabile, e talvolta il governo e i vertici militari hanno mostrato colpevole incomprensione, ma non ritengo che si possa parlare di genocidio. Dobbiamo fare in modo che non paghino la vita più persone prima della fine della guerra.

Fu criticato per le operazioni in Libano del 2006 e per “Piombo fuso a Gaza”. Anche lì si parlava di crimini di guerra. Rifarebbe le stesse scelte?

Ogni volta che abbiamo dovuto contrastare gli attacchi terroristici, abbiamo usato la forza in nostro possesso. Ci furono critiche, ma guardando agli anni successivi penso che il giudizio su quegli interventi sia cambiato. Sono in pace con il mio operato e non ritengo di dovermi scusare.

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