A un anno e mezzo di distanza da quello che è stato definito come un “colpo di mano costituzionale” eseguito dal presidente della Repubblica tunisina Kais Saied, il paese torna nuovamente alle urne per le elezioni legislative. Questa volta la Tunisia si presenta al voto del 17 dicembre in un clima misto di rabbia e rassegnazione. I partiti che erano rappresentati all’interno dell’Assemblea tunisina –sospesa nel luglio del 2021 e sciolta definitivamente da Saied nel marzo del 2022 – hanno deciso di boicottare il voto e non presenteranno i candidati, anche perché in base alla nuova legge elettorale la candidatura sarà su base individuale.

«Quasi tutti i partiti in Tunisia hanno boicottato queste elezioni. Noi consideriamo quello che è accaduto il 25 luglio del 2021 come un colpo di stato e anche tutto quello che ne è venuto dopo», dice Majdi Karbai ex deputato della scorsa legislatura eletto con il partito Attayar di ispirazione socialdemocratica ed ecologista.

A boicottare il voto anche gli islamisti di Ennahda e il partito Destouriano libero di Abir Moussi, l’avvocata e leader politica tunisina che strizza l’occhio all’èra autoritaria di Ben Ali (il presidente deposto con la rivoluzione tunisina di undici anni fa).

La fine della democrazia

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Karbai è stato uno dei deputati che dal 25 luglio del 2021 si sono visti negare l’entrata al parlamento dopo che Saied ha dato ordine alle forze dell’ordine di chiudere e presidiare le porte dell’assemblea, decretando la sospensione dei suoi poteri. 

In quelle stesse ore Saied aveva anche deposto il primo ministro Hichem Mechichi e altri membri del governo, dato vita a una nuova fase politica per la Tunisia.

«Io non mi sono ricandidato sia per una decisione personale sia del partito di cui faccio parte», racconta Karbai. «Non abbiamo neanche votato al referendum dello scorso luglio sulla riforma costituzionale scritta da Saied. Non si è mai confrontato la società civile, partecipare alle elezioni sarebbe una contraddizione per noi», aggiunge.

Con le mani legate

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La nuova carta costituzionale ha ridotto all’osso il potere dei partiti e del parlamento che secondo le opposizioni non ha più quel ruolo di controllo sull’esecutivo e quel potere decisionale che aveva in precedenza. 

Anche l’osservatorio democratico al Bawsala che si occupa di monitorare i lavori parlamentari, le interrogazioni, le proposte legislative e le presenze all’interno dell’assemblea ha pubblicato un comunicato di dissenso dicendo che boicotterà i risultati elettorali.

«Attualmente ci sono otto circoscrizioni senza alcun candidato e dieci con un solo candidato. La gente non si vuole candidare», spiega Karbai. I risultati elettorali saranno noti a gennaio mentre per i ballottaggi sarà previsto un secondo turno a febbraio.

Un parlamento vuoto

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A marzo si saprà il risultato finale e dopo verrà decisa la data per le elezioni straordinarie che si terranno nelle circoscrizioni in cui non si è presentato alcun candidato. «Da qui a giugno ci sarà un parlamento vuoto, immobile. Saied ha tracciato un percorso furbo, lento e lungo per prendere tempo ma ha dovuto farlo perché era stato incalzato dalla comunità internazionale».

A pochi giorni dalle elezioni il presidente tunisino ha incontrato il segretario di Stato americano Antony Blinken al quale ha detto che nel luglio del 2021 non aveva altra scelta che congelare il parlamento perché il paese era sull’orlo della guerra civile. Una giustificazione che secondo ong e associazioni non trova riscontro nella realtà e nasconde un accentramento dei poteri da parte di Saied.

La sua azione politica è continuata nei mesi; lo scorso febbraio, ad esempio, si è diretta contro i giudici tunisini con la decisione di sciogliere il Consiglio superiore della magistratura. Venuta meno la separazione dei poteri tra esecutivo, legislativo e giudiziario Saied ha governato per un anno e mezzo attraverso decreti presidenziali. 

La crisi

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Tra la popolazione tunisina domina un sentimento di totale sfiducia nei confronti di queste elezioni e della situazione politica nel paese. La situazione finanziaria disastrosa ereditata dalla pandemia si è acuita con la guerra in Ucraina e la crisi energetica.

Le autorità di Tunisi sperano di concludere positivamente un accordo per ottenere un altro prestito con il Fondo monetario internazionale. Sembrerebbe che le parti abbiano raggiunto un’intesa per una tranche di finanziamenti di 1,9 miliardi di dollari, la metà di quelli richiesti inizialmente dal governo tunisino.

La crisi economica, però, ha anche degli effetti espliciti visibili nelle strade del paese. Da mesi gli scaffali dei supermercati sono vuoti e si fa fatica a comprare i beni di prima necessità sia per una loro mancanza sia per l’aumento dei prezzi.

L’invasione russa dell’Ucraina ha influito negativamente nel settore alimentare dato che la Tunisia importa la maggior parte del suo grano da Kiev e l’accordo siglato con la Turchia e le Nazioni unite, per sbloccare i silos e consegnare i cereali al resto del mondo, ha soltanto tamponato momentaneamente la situazione.

Con un inflazione che ha superato il 9,8 per cento e una disoccupazione giovanile intorno al 40 per cento sempre più tunisini lasciano il paese attraversando la rotta del Mediterraneo centrale per arrivare in Europa.

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