A dieci anni dalla rivoluzione dei Gelsomini la Tunisia piomba di nuovo nel caos politico. Lo slogan «dégagé» urlato allora contro il presidente autoritario Ben Alì è risuonato domenica nelle piazze di Sousse, Gafsa, Kairouane, Nabeul e nella capitale. Il 25 luglio sarebbe dovuto essere un giorno di festa, ma in occasione delle celebrazioni per l’anniversario della Repubblica è stata proclamata invece una “giornata della collera” che in poche ore ha stravolto lo scenario politico tunisino. Durante le manifestazioni mattutine non sono mancati scontri con la polizia, che non ha risparmiato l’uso di manganelli e gas lacrimogeni.

I video circolati sui social network hanno mostrato le sedi del partito islamista di maggioranza “Ennahda” prese di mira e vandalizzate dalla folla, ma hanno anche sollevato dubbi su una possibile ingerenza degli altri partiti dietro alcuni dei cortei organizzati. Quel che è certo è che la giornata si è conclusa con una decisione politica senza precedenti. Nella notte tra domenica e lunedì il presidente della Repubblica, Kais Saied, politico indipendente e avvocato costituzionalista, ha congelato le funzioni del parlamento per 30 giorni, revocato l’immunità ai rappresentanti dell’Assemblea e deposto il primo ministro Hichem Michichi.

26 July 2021, Tunisia, Tunis: Supporters of Tunisian President Kais Saied chant slogans during a protest in front of the Parliament building, denouncing Rached Ghannouchi, Parliament Speaker and President of the Islamist Ennahda Movement, after President Saied sacked the prime minister and suspended the parliament the night before. Photo by: Khaled Nasraoui/picture-alliance/dpa/AP Images

Colpo di stato?

Vari esponenti politici tra cui anche Rachid Gannouchi, presidente del parlamento nonché leader di Ennahda, hanno definito la mossa di Saied come un colpo di stato e un duro attacco alla rivoluzione del 2011, invitando i suoi sostenitori a scendere nelle piazze. Saied si è difeso con un discorso alla tv di stato: «Ho deciso di assumere il potere esecutivo con l’aiuto di un capo di governo che nominerò io stesso. Secondo la Costituzione, ho adottato le decisioni richieste dalla situazione per salvare Tunisi, lo stato e il popolo tunisino. Chi parla di colpo di stato dovrebbe leggere la Costituzione o tornare al primo anno di scuola elementare, io sono stato paziente e ho sofferto con il popolo tunisino».

Il presidente della Repubblica ha affermato di aver agito ai sensi dell’art. 80 della Costituzione, ma secondo gli esponenti della società civile la decisione di congelare il parlamento deve essere approvata in ultima istanza dalla Corte costituzionale, organo che non è ancora stato istituito a sette anni di distanza dalla sua previsione. «L’articolo 80 invocato da Saied è stato già usato durante la pandemia ma in realtà ha un mandato costituzionale monco – dice Antonio Manganella, dirigente regionale di Avocats sans frontières, ong con sede a Tunisi - in una situazione in cui non c’è una corte Costituzionale che possa verificare la necessità di uno stato d’eccezione il rischio è che si utilizzi questo articolo senza tutte le garanzie del caso».

Inoltre, secondo Manganella, la revoca dell’immunità parlamentare non trova fondamento nel famoso articolo citato da Saied: «Non sappiamo ancora cosa ci sia dietro la revoca ma portare dei deputati di fronte la giustizia in questo periodo di crisi politica apre una voragine nello stato di diritto. Non è il momento delle purghe».

Le reazioni

Nonostante il coprifuoco imposto per contrastare la pandemia, nella notte di domenica centinaia di manifestanti si sono recati al Bardo davanti la sede del giovane parlamento tunisino riformato nel 2014. C’è chi si trovava lì per festeggiare e chi invece in segno di protesta, così come accaduto in Avenue Bourghiba la via centrale di Tunisi, punto di ritrovo delle manifestazione avvenute negli ultimi mesi. A difesa delle istituzioni democratiche sono state schierate camionette della polizia e mezzi militari.

Gli agenti hanno bloccato l’accesso sia ai manifestanti che hanno provato a ostacolare le barriere sia all’ottantenne presidente dell’Assemblea Gannouchi, ritratto in alcuni scatti circolati sui social mentre assiste impotente alla decisione del presidente Saied. Una decisione che ora rischia di minare il processo di transizione democratica in corso nel paese.

Nella giornata di lunedì l’emittente televisiva di Al Jazeera, media del Qatar considerato vicino alla fratellanza musulmana, ha rilasciato una nota in cui ha denunciato l’irruzione della polizia che ha obbligato i giornalisti a chiudere la sede. «Non abbiamo ricevuto alcun preavviso dello sgombero del nostro ufficio da parte delle forze di sicurezza», ha detto il direttore di Al Jazeera a Tunisi Lotfi Hajji.

Nel frattempo, per le strade di Tunisi si sono registrati scontri tra i sostenitori islamisti e quelli di Saied. La situazione è incandescente e ne è consapevole anche il presidente che ha lanciato un appello alla popolazione e alle varie fazioni politiche: «Chi punta un’arma diversa da quella della legittimità troverà un’arma, ma non voglio una sola goccia di sangue».

L’origine della rabbia

Il malcontento del popolo tunisino era nell’aria da mesi. Non è un caso se il parlamento, ben prima dalla giornata di domenica scorsa, era perimetrato e protetto da un fitto filo spinato. Lo scorso gennaio, nei quartieri popolari limitrofi alla capitale come Ettadhamen e Sidi Hassine, migliaia di giovani hanno manifestato contro la crisi economica e sanitaria che attanaglia il paese. La rabbia della popolazione si è scagliata anche contro le forze di polizia che hanno represso con violenza e arresti arbitrati le manifestazioni. Una tensione in crescendo culminata domenica scorsa.

Tuttavia, spiega Antonio Manganella, «la mossa politica di Saied non è isolata ma è da almeno sei mesi che c’è una crisi politica aperta tra la presidenza, l’esecutivo e il parlamento. Si sapeva che la crisi sociale sarebbe esplosa in questi mesi anche dopo il peggioramento della situazione sanitaria».

La gestione della pandemia

Al centro delle critiche della popolazione c’è anche le gestione drammatica da parte del governo della pandemia. Oggi la Tunisia è il paese africano che conta il maggior numero di vittime giornaliere da Covid-19. In totale sono morte più di 18.600 persone, numero alto se si considera che in totale la popolazione è di poco meno di 12 milioni di abitanti. I nuovi contagi si attestano su una media giornaliera di oltre 4mila casi positivi, mentre negli ospedali dell’entroterra scarseggia l’ossigeno per i pazienti in terapia intensiva. Sui social sono circolati video drammatici del personale sanitario stremato dalla situazione e in lacrime.

Nelle ultime settimane l’Italia come altri paesi vicini hanno fornito nuovi aiuti ma l’impressione della popolazione è che le cause di questa ondata violenta della pandemia siano da attribuire a una mala gestione governativa, restia a introdurre il lockdown per evitare il collasso dell’economia interna.

Gli scenari futuri

«Siamo tutti d’accordo sul fatto che c’è stato uno sforamento dello spirito dell’art. 80, ora le nostre preoccupazioni è che non vengano superate delle linee rosse come il rispetto della libertà di stampa e dei diritti umani», dice Manganella di Avocats sans frontières. Se gli islamisti di Ennahda e Qalb Tunis si sono opposti alla decisione di Saied altri partiti rimangono in attesa e non si sono ancora espressi. Contattato telefonicamente il deputato Majdi Karbai del Partito Attayar di ispirazione socialdemocratica ed ecologica ha affermato di non poter rilasciare dichiarazioni. A dimostrazione di come la situazione sia ancora incerta e delicata in queste ore.

Ma le dichiarazioni dell’Ugtt, l’organizzazione sindacale più importante e conosciuta del paese, che non condannano la mossa di Saied ma chiedono garanzie costituzionali, cambiano le carte in tavola. Secondo Al Jazeera Michichi, il primo ministro deposto domenica sera si troverebbe a casa sua e starebbe pensando di convocare ugualmente una seduta del Consiglio dei ministri.

Gli esponenti della società civile rimangono in allerta e osservano le prossime mosse politiche, mentre si chiedono se la tempesta in corso possa minare o ridare slancio al processo di transizione democratica iniziato nel periodo post rivoluzionario ma che ha avuto un brusco rallentamento dal 2014. La democrazia tunisina, l’unica superstite dalle primavere arabe, affronta l’ennesimo periodo di instabilità politica. Stavolta però le sue fondamenta sono messe a dura prova e il futuro è più che mai incerto.

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